PROVINCIA DI FERRARA
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Musei Nazionali
Monumenti e zone archeologiche
Raccolte archeologiche nei musei civici
Monumenti e zone archeologiche della provincia

Comacchio (FE), Valle Pega. Cratere a volute con scena di
amazzonomachia dalla tomaba 11c del pittore dei Niobidi (circa 450 a.C.)

I lineamenti geografici e storici della provincia di Ferrara si sono modellati sul mutevole e possente apparato deltizio del Po. Allo stato delle conoscenze la documentazione archeologica più antica, risalente all'ultima fase del Neolitico, è circoscritta all'areale bondenese. L’età storica trova il proprio apice nel fenomeno urbano di Spina (fine VI - inizi III sec. a.C.) per frantumarsi in prosieguo di tempo nelle più capiìlari forme di insediamento proprie delle età romana ed altomedievale. Unitamente a Bondeno, Comacchio, Ostellato, Voghenza e Argenta costituiscono i poli di aggregazione economica ed umana che hanno restituito il maggior numero di documenti e che si saldano, dopo i secoli VI e VII d.C. al "castrum" bizantino da cui ebbe origine Ferrara.

F.B.


MUSEI NAZIONALI

FERRARA - MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

Il Museo si avvia, dopo un decennio di chiusura al pubblico, verso la riapertura di una prima sezione. Esso esemplificherà, lungo un percorso di sei sale al piano nobile, alcuni momenti salienti della compagine sociale e della temperie culturale della città greco-etruscci di Spina attraverso la proposizione dei più significativi corredi tombali di V-IV e III sec. a.C.

Direttore: Dott.ssa Fede Berti
Via XX Settembre n. 122 - Tel. (0532) 66299
Orario: tutti i giorni 9-14; chiuso il lunedì

F. B.


FERRARA - MUSEO DI SCHIFANOIA E CIVICO LAPIDARIO

Il Museo conserva, insieme ad altre importanti collezioni artistiche, le raccolte archeologiche egiziana, greco ed etrusca che si sono formate nel corso dei secoli XVIII e XIX ed appartengono al patrimonio comunale. Una campionatura di oggetti di ciascuno dei tre nuclei è esposta a scopo semplificativo. Occupa permanentemente alcune sale dell'ala trecentesca la collezione di ceramiche ferraresi del XV e XVI secolo donata al Museo nel I 935 da Giovanni Pasetti. La chiesa di Santa Libera attigua al Palazzo Schifanoia accoglie la Raccolta Civica Lapidaria, la più importante del territorio, istituita nel XVIII secolo e costituito da stele, cippi e sarcofagi romani provenienti dal ferrarese.
Nei magazzini del Museo sono conservati, a titolo di deposito, i materiali provenienti dallo scavo della villa romana di Cassana effettuato su concessione ministeriale dai Civici Musei di Arte Antica; questo complesso di reperti è stato esposto e pubblicato nel I 978. Depositati presso il Museo sono inoltre i reperti provenienti dallo scavo urbano di età medievale di Corso Porta Reno (anch'esso condotto su concessione dai Musei Civici tra il I 98 I ed il I 984) tuttora in corso di studio ed oggetto di futura pubblicazione.

Direttore: Dott.ssa Anna Maria Visser
Via Scandiana n. 23 - Tel. (0532) 64178
Orario: 9-19

F. B.


MONUMENTI E ZONE ARCHEOLOGICHE DELLA PROVINCIA

COMACCHIO

Il sorgere del "Castrum" di Comacchio avvenne in periodo bizantino. In breve divenne testa di ponte verso Venezia, riferimento obbligato del commercio del sole per tuffa l'Italia settentrionale porto deputato per le operazioni della flotta militare e per gli scambi commerciali con l'Oriente. Nel vasto e fertile territorio che lo circonda, ci seguito delle bonifiche vallive, sono emersi alcuni degli episodi più significativi della archeologia "ferrarese": la citta greco-etrusca di Spina con le sue necropoli e il tratto terminale del percorso del Padovetere i cui spalti sono costellati delle tracce di una fitta poleografia e delle testimonianze (imbarcazioni) di quei traffici endolagunari che sostanziarono l'economia e la vita nel delta.

F.B.


COMACCHIO - PIEVE DI SANTA MARIA IN PADOVETERE

Resti dell'impianto ecclesiale (risalente al Vi sec. d.C.) che si compone di un'aula absidata, di un battistero poligonale e del campanile. Visibili anche alcune sepolture laterizie della necropoli coeva.

Valle Pega
Orario: possibile a richiesta (rivolgersi al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara)

F.B.


OSTELLATO - ABITATO DI SPINA

L’area in cui sono stati effettuati gli scavi (settore a meridione del Canale Collettore Provinciale del Mezzano) è attualmente ricoperta. Esso tuttavia conserva strutture e apprestamenti in legno (palificazioni) relativi all’impianto urbano del VI-III sec. a.C.

Valle del Mezzano
Orario: visibile a richiesta (rivolgersi al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara)

F.B.


VOGHIERA

I due piccoli, limitrofi centri di Voghenza e di Voghiera discendono direttamente dalla più antica diocesi del territorio ferrarese (V sec. d.C.) erede, a sua volta, del più notevole insediamento romano nell'area deltizia. Il vicus - dalle ancora più remote radici etrusche - ebbe un forte ruolo economico quale sede nella gestione dei possedimenti della famiglia imperiale (saltus) e grazie alla sua dislocazione accanto a una importante arteria fluviale

F.B.


VOGHIERA - NECROPOLI MONUMENTALE

Necropoli monumentale di età romano imperiale (III sec. d.C.) in cui figurano due recinti cimiteriali, tombe laterizie a dado e titoli funerari.

Frazione Voghenza
Orario: visibile dalla strada

F.B.


RACCOLTE ARCHEOLOGICHE NEI MUSEI CIVICI

VOGHIERA - ANTIQUARIUM

Vi sono esposti i materiali (vasellame, vetri, monete, alcuni pregevoli manufatti di ambra ed un rarissimo balsamario in sardonice) ritrovati nelle sepolture della necropoli monumentale di etù romana scavata a Voghenza e risalente al I - III secolo d.C. Sono visibili inoltre iscrizioni funerarie provenienti dalla medesima necropoli e dal territorio.

Complesso del Belriguardo, Via Provinciale n. 274/A - Tel. (0532) 815604
Orario: domenica dalle 15 alle 18 e su richiesta.
Pieghevole informativo; disponibilità di visite guidate su richiesta curate dall'Associazione Cultura e Ambiente.

F. B.


MONUMENTI E ZONE ARCHEOLOGICHE

COMACCHIO - IL RELITTO AUGUSTEO

Gli ultimi cinquant'anni di questo secolo, una volta analizzati con l'attenzione del restauratore, consentiranno certamente di scrivere la storia dell'evoluzione della conservazione del legno archeologico: dopo la parentesi del recupero e della musealizzazione del re Navi di Nemi, negli anni '50 e '60 gli sforzi dei restauratori si concentrano nella sperimentazione dei nuovi prodotti (i glicoli polietilenici, più comunemente noti come PEG), nella standardizzazione delle procedure di intervento, nello studio dei meccanismi della degradazione del legno in condizioni di saturazione di acqua, sia nella giacitura terrestre che in quella subacquea. Gli interventi di restauro condotti in questi anni, sebbene non possano costituire la regola da seguire, sono da considerarsi i precursori della moderna scienza della conservazione del legno saturo di acqua i problemi conservativi più gravi, come ovvio, vengono posti dai relitti di imbarcazioni: siano esse recuperate in frammenti o intere, infatti, le strutture navali presentano una tale complessità di elementi costitutivi e di rapporti obbligati tra i singoli componenti, da costituire un serio banco di sperimentazione per realizzarne il restauro. Le tecniche di recupero dei relitti sono state da sempre le più fantasiose e sicuramente le più idonee alle particolari esigenze di intervento, ma, spesso, si sono rivelate come le meno adatte alla conservazione.
L'intervento di conservazione di un'imbarcazione deve prevedere tre fasi successive strettamente connesse, la cui buona riuscita dipende dai risultati conseguiti dalla fase precedente: il consolidamento del legno con opportuni prodotti chimici, l'essiccazione del manufatto fino alle condizioni di esposizione, il restauro finale delle strutture lignee, ovvero l'assemblaggio, la disposizione su supporti, l'esposizione museale. In una logica conservativa queste varie operazioni andrebbero programmate prima ancora del recupero, così da poter prevedere tempi e costi delle differenti fasi; nella realtà operativa, invece, ancora non si è pervenuti a una schematizzazione degli interventi tale da far progettare in partenza tutte le fasi dell'intervento medesimo.
Nella maggior parte dei casi, inoltre, ci si trova a dover fare Fronte all'improvvisa esigenza di modificare i piani di intervento, sia per cause assolutamente non prevedibili, sia perché la progettazione integrale di un intervento tanto complesso non può che essere realizzata da un gruppo di lavoro estremamente articolato in termini di professionalità interessate.
Il caso specifico di Valle Ponti è stato affrontato aggiornando preliminarmente le conoscenze specifiche sullo stato di alterazione dei materiali costitutivi io scafo, al fine di valutarne le difficoltà di conservazione.
Acquisendo una conoscenza dello stato di alterazione degli elementi lignei, si sono tracciate le linee guida per la diffusione nel dettaglio dei criteri dell’intervento conservativo, che deve applicarsi in maniera differenziata alla diverso natura delle fibre. Lo scafo, sul quale è stato modellato un guscio di vetroresina, passerà attraverso le tre fasi di trattamento: il lungo periodo di impregnazione con soluzioni di PEG, la stabilizzazione lenta e controllata che porterà legno consolidato e ambiente ospite alle migliori reciproche condizioni di compatibilità, la musealizzazione.
Quest'ultima prevede di riconnettere la forma navale al carico trasportato, vario e cospicuo, depositario di quella messe di informazioni che consentono di collocare nel tempo (l'età augustea) il naufragio dell'imbarcazione.

F.B.


COMACCHIO - DOSSO DEI SASSI

Già dal 1995 la Soprintendenza ha avviato una serie di ' prospezioni subacquee nell'ambito del complesso delle valli di Comacchio (FE), finalizzate ad un vero e proprio censimento delle emergenze archeologiche in questa zona valliva, caratterizzata nei secoli da fenomeni di subsidenza ed impaludamento.
La ricerca, condotta nel settembre del 1996 è stata finalizzata all'esplorazione del cosiddetto Dosso dei Sassi.
Un isolotto, lungo circa 350 m. e caratterizzato al suo interno da due piccoli stagni, rappresenta la parte più rilevata di un dosso litoraneo che corre pressoché parallelo, alla distanza di ca. 3 km, a quello più interno dell'argine di Agosta, ben noto per i cospicui ritrovamento di età romana imperiale. Risalgono agli inizi del secolo scorso le prime notizie di frammenti architettonici marmorei rinvenuti nella località.
Ripetuti, sopralluoghi ispettivi consentirono, fin dal 1949, recupero di numerosi materiali fra cui spiccano due frammenti di rilievo marmoreo, uno con scena di caccia al cinghiale e l'altro con personaggio alato.
Cornici e lastrine marmoree di vari e pregiati marmi orientali, grande quantità di tessere di mosaico bianche e nere, talora in connessione a formare disegni qeometrici, esagonette, laterizi, fra cui alcuni con bollo Solonas, lacerti di vetri di finestre, già indicavano la pertinenza di questo sito ad un complesso residenziale di età imperiale. La prospezione condotta ha consentito di dare un coerente assetto ai dati già noti relativi alla terraferma e di iniziare l'indagine rivolta alla consistenza ed ampiezza delle strutture attualmente sommerse che si sono rivelate assai più estese del previsto, soprattutto per quanto riguarda il versante occidentale dell'isola - prospettante sull'argine di Agosta - e che appaiono al momento senza soluzione di continuità fino al limite dell'area a tuttora indagata.
Se solo un prosieguo delle operazioni consentirà di definire limiti e caratteristiche delle strutture sommerse, l'ubicazione di particolari concentrazioni di tessere di mosaico e frammenti architettonici marmorei suggeriscono la dislocazione dei vani di rappresentanza, mentre i grandi lacerti di fondazione in cocciopesto, affioranti ancora in sito nella parte nord dell'isola, dà un saggio della solidità della struttura originaria.
I numerosi materiali rinvenuti nel corso dell'intervento appaiono perfettamente omogenei ai recuperi del passato.
Essi confermano in modo esplicito la pertinenza dei resti ad un complesso residenziale di notevole prestigio, decorato da pavimenti in mosaico ma certo anche in opus sectile, come indicano i numerosi frammenti di lastrine in marmi variamente colorati ed in ardesia.
Ad una pavimentazione di questo tipo doveva essere certo pertinente la grande lastra (diametro m 0.60 ca., spessore 0.3) in marmo bianco zuccherino, rinvenuto nel corso della prospezione subacquea ca. I 0 m. ad est della costa orientale dell'isola.
Un ampio uso di marmi per rivestimenti e coronamenti è attestato sia dai due frammenti di rilievi summenzionati che dalle numerosissime cornici e lastrine, mentre si rintracciano numerosi frammenti di intonaco parietale rosso e rosato.
Il complesso dei materiali recuperati riconduce, in linea di massima, nella sua interezza a quelle prime fasi dell'età imperiale che, caratterizzate dalla attivazione della Fossa Auqusta, segnarono una tappa decisiva per l'impulso di traffici e produttività e per il conseguente popolamento della zona nella quale la villa del Dosso dei Sassi fu impiantata.

S.P. - P.D.


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