
Tra la fondazione della colonie romane di Sena Gallica nel 284 e Ariminum nel 268 e la promulgazione della Lex Flaminia de agro Gallico et Piceno viritim dividundo nel 232 a.C. si afferma con autorità la presa di possesso da parte di Roma del territorio adriatico attualmente compreso tra Marche settentrionali e Romagna che anticamente costituiva il dominio dei Senoni. Il ritrovamento presso la nuova darsena di Cattolica di un contesto estremamente importante -un cospicuo scarico di reperti ceramici trovato all’interno di un vascone collegato con un antico impianto artigianale- arricchisce la documentazione archeologica fino ad ora disponibile per la fase cruciale della storia non solo di questa regione, ma dell’intera Italia settentrionale. Da un lato viene infatti colmata una lacuna lungo il percorso litoraneo tra Ancona e Rimini non lontano da quella insenatura della Vallugola che poteva costituire un punto di approdo dopo la punta di Focara. Dall’altro il deposito di Cattolica, sia che venga interpretato come i resti di un magazzino che come una discarica (probabilmente legata ad impianti artigianali) è comunque un contesto “chiuso” e cronologicamente molto omogeneo: questa situazione ci consegna una “fotografia” della documentazione materiale in uso nell’area nel III secolo, integrando i dati fino ad ora noti, per lo più da singoli interventi di scavo urbano, che raramente hanno raggiunto gli strati più antichi delle colonie romane, a Rimini come a Senigallia.
La pubblicazione di questo Quaderno di Archeologia dell'Emilia Romagna, che accompagna la mostra ed illustra il risultato degli scavi alla nuova Darsena, rappresenta per gli studiosi un’occasione unica per acquisire una documentazione di prima mano di questo periodo cruciale non solo per la storia della costa romagnola e marchigiana, ma di tutta la Cispadana.
Si deve riconoscere alla curatrice della mostra e del catalogo, Maria Luisa Stoppioni, e ai suoi collaboratori una grande capacità organizzativa ed un forte senso di responsabilità istituzionale e scientifica che ha reso possibile, a meno di quattro anni dall'inizio dell'indagine archeologica, non solo la pubblicazione dei dati di scavo ma anche vedere una buona parte dei reperti restaurati ed esposti al pubblico