Negli
ultimi anni Cattolica ha riservato molte sorprese in campo archeologico. Il
rinvenimento che presentiamo con la mostra "Vetus litus. Archeologia della foce" ha però un’importanza particolare
perché rappresenta il contesto di riferimento della nascita di
quell'insediamento romano di cui non conosciamo il nome ma dal quale nascerà
l’attuale cittadina di Cattolica.
La possibilità di datare con certezza al pieno III secolo a.C. questo importante
scarico di reperti ceramici -trovato all’interno di un vascone collegato con un
antico impianto artigianale- apre uno squarcio, ancora parziale ma
sufficientemente preciso, sulla vita di un piccolo insediamento di immigrati
romani (in termine tecnico conciliabulum) lungo l'itinerario
marittimo che collegava Sena Gallica (Senigallia) ad Ariminum (Rimini), prima
della costruzione della Flaminia.
La discarica di ceramiche comuni e da cucina, anfore, doli e laterizi che
costituisce l’oggetto di questa mostra è venuta alla luce nel giugno 2004,
durante i lavori per la realizzazione di una piccola darsena interna per
imbarcazioni da diporto, a ridosso del porto-canale che funge da confine tra
Cattolica e Gabicce. Ci troviamo alla foce del fiume Tavollo, un corso d’acqua
che rappresenta un confine naturale tra Romagna e Marche e che in antico
coincideva probabilmente con il limite dell’augustea Regio Octava Aemilia.
Questo tratto di costa, oggi piatto e lineare, era in età romana assai più mosso
e dunque più adatto ad offrire ricovero ai naviganti. Le valli che collegavano
naturalmente costa ed entroterra sboccavano in corrispondenza delle foci dei
fiumi e ciò favoriva lo sviluppo di numerosi insediamenti litoranei, tanto più
essenziali considerata anche la navigazione di cabotaggio. Ad accrescere la
qualità di questi scali naturali furono quegli itinerari paracostieri che più
tardi, nel tratto tra Fano e Rimini, al momento della costruzione della via
Flaminia, diventeranno strada di grande collegamento e transito.
Ecco spiegato il titolo della mostra "Vetus Litus", il litorale antico,
con la sua costellazione di insediamenti, più o meno grandi, in corrispondenza
delle foci dei fiumi. Lo scalo alla foce del Tavollo era non solo naturalmente
idoneo alla sosta e al rifornimento delle imbarcazioni, ma favoriva gli scambi
commerciali con il retrostante territorio agricolo. Come rivela lo scavo della
Nuova Darsena, questa
insenatura doveva essere l'ideale luogo di scambio e carico per le rotte di
corto e medio raggio, principalmente dirette a Rimini.
VETUS LITUS
Archeologia della foce
Una discarica di materiali ceramici
del III secolo a.C. alla darsena di Cattolica lungo il Tavollo
Cattolica, Museo della Regina
19 dicembre 2008 - 21 giugno 2009
L'inattesa scoperta di uno scalo a Cattolica fa pensare che, in età preromana o
agli inizi della romanizzazione, questo territorio vantasse due approdi molto
attivi: quello cattolichino, al servizio dei porti più settentrionali a
cominciare da Rimini, e quello di Santa Marina di Focara, più connesso alla
costa marchigiana e ai suoi porti. Con la costruzione della Flaminia, nel 220
a.C., lo scalo di Cattolica decade, come sembra indicare il silenzio delle fonti
e la mancanza di ritrovamenti archeologici successivi. Resta il messaggio
contenuto nello scavo della Nuova Darsena. Le ceramiche rinvenute nella fossa
sono prevalentemente legate alle caratteristiche prodiere del sito, a partire
dalle anfore (oltre l'80% del materiale recuperato), vale a dire contenitori per
il trasporto e soprattutto marittimo. La vicinanza a una costa riparata fu
certamente decisiva per l'impianto di un'attività di lavorazione dell'argilla
che serviva sia al territorio agricolo e alle sue produzioni, che ai mercati in
cui spedire le eccedenze alimentari. "Quasi certamente -scrive Maria Luisa
Stoppioni, curatrice della mostra- nelle vicinanze di questa fossa si
fabbricavano i grandi contenitori da trasporto, le anfore, che con ogni
probabilità in questo stesso luogo venivano riempite con il vino giunto forse in
botti di legno o otri e da qui imbarcate per raggiungere i mercati di
destinazione. La prevalente produzione di anfore e doli dovette pertanto
costituire l'elemento centrale per la scelta del sito in cui far sorgere la
fornace. Senza la necessità di imbarco e trasporto marittimo, la fornace avrebbe
anche potuto sorgere altrove, fatte salve le condizioni di base rappresentate
dalla vicinanza di acqua dolce, legname e argilla".
Elemento decisivo fu certo il fiume, che forniva acqua dolce argilla. D'altronde l'ubicazione delle fornaci in aree vicine sia alla
costa che allo sbocco in mare di fiumi o canali, è una costante nelle fasi
antiche, proprio per le ragioni valide nella nostra ipotesi: disponibilità di
acqua dolce e banchi di argilla affioranti dal fiume, vie d'acqua per il
trasporto e il rapido trasferimento dei carichi, rete di collegamento con le
strade intervallive e di contatto con il retroterra agricolo.
Tra i reperti più significativi vanno senz'altro segnalati alcuni frammenti che
si ipotizzano pertinenti ad una statua fittile di grandi dimensioni, forse da
realizzarsi con elementi da sovrapporre su un supporto interno di legno. Si
tratta di una parte del fianco destro di una figura maschile nuda, un dito, un
ricciolo e un frammento cilindrico inizialmente identificato come parte di un
braccio ma rivelatosi, ad un più attento esame, un fallo in erezione, privo di
scroto e prepuzio, analogo ad altri esemplari in pietra o terracotta rinvenuti a
Pompei e databili al II-I sec. a.C., e a esemplari in terracotta da Roma e da
stipi e depositi votivi, databili al III sec. a.C. Se l'ipotesi della statua è
esatta, si tratterebbe di un'opera di dimensioni più che doppie rispetto al
naturale e certamente destinata ad un'area sacrale. Notevole è anche una matrice
in argilla rossastra, raffigurante la maschera di un volto quasi certamente
maschile, caratterizzato dalla bocca spalancata con un piccolo foro al centro.
La maschera -assunta a simbolo della nostra mostra- sembra essere identificabile
con Dioniso-Bacco e doveva servire quale boccaglio di fontana o, più
probabilmente, da gocciolatoio o gronda da tetto. Collegando tra loro i vari
elementi e la pertinenza ad una zona di culto, possiamo ipotizzare che la
maschera dionisiaca potesse essere sia elemento decorativo da tetto che oggetto
da ex voto mentre il simbolo fallico può essere considerato un potente amuleto
contro il male, secondo l'uso diffuso in epoca romano repubblicana quando era
comunissimo vederlo nelle abitazioni come apotropaion.
Su questo coperchio di olla (clibanus) spiccano, su entrambi gli
attacchi, tre impronte appartenenti a dita molto piccole, forse di bambini ma
più probabilmente di donna. Se è noto che le donne fossero talvolta presenti
nelle fornaci, stupisce trovarle in officine che producevano vasi e oggetti di
grandi e grandissime dimensioni e che pertanto richiedevano manodopera
specializzata e fisicamente forte
Per gli appassionati di archeologia e per la cittadinanza di Cattolica
l’esposizione dei reperti più antichi della loro città offre la possibilità di
approfondire la conoscenza delle proprie origini e di una parte fondamentale del
patrimonio archeologico locale. Per gli studiosi la pubblicazione del Quaderno
di Archeologia che accompagna la mostra ed illustra il risultato degli scavi
alla nuova Darsena rappresenta un’occasione unica per acquisire una
documentazione di prima mano di questo periodo cruciale non solo per la storia
della costa romagnola e marchigiana, ma di tutta la Cispadana.
Si deve riconoscere alla curatrice della mostra Maria Luisa Stoppioni e ai suoi
collaboratori una grande capacità organizzativa ed un forte senso di
responsabilità istituzionale e scientifica. È raro che in così poco tempo dalla
conclusione dello scavo sia non solo disponibile l’edizione scientifica ma vi
sia anche la possibilità di vedere una buona parte dei reperti restaurati ed
esposti al pubblico.
Al Comune di Cattolica che ha reso possibile l’impresa, si è volentieri unita la
Soprintendenza per i Beni Archeologici, con il proprio personale, scientifico,
tecnico, i restauratori, i fotografi e i disegnatori in quello spirito di
collaborazione e reciproca stima che rende possibili risultati di eccellenza.
La moneta in bronzo della serie coniata di Ariminum che rappresenta un
termine di riferimento incontrovertibile per la datazione della fossa e delle
ceramiche ritrovate, collocabile tra la battaglia di Sentino (295 a.C), la
fondazione di Rimini (268 a.C) e la nascita della consolare Flaminia (220 a.C.).
Tra la fondazione delle colonie romane di Sena Gallica nel 284 e
Ariminum nel 268 e la promulgazione della Lex Flaminia de agro Gallico et
Piceno viritim dividundo nel 232 a.C. si afferma con autorità la presa di
possesso da parte di Roma del territorio adriatico attualmente compreso tra
Marche settentrionali e Romagna e che anticamente costituiva il dominio dei
Senoni sulla base delle fonti di Livio (V, 35, 3), tra i fiumi Montone ed Esino.
La documentazione archeologica finora disponibile si arricchisce con il
ritrovamento, presso la nuova darsena di Cattolica, di un contesto di
fondamentale importanza che colma, tra l’altro, una lacuna lungo l’antico
percorso litoraneo tra Ancona e Rimini.
Il deposito di ceramiche rinvenuto a Cattolica è un contesto “chiuso” e
cronologicamente molto omogeneo. Che lo si interpreti come i resti di un
magazzino oppure come una discarica, probabilmente legata ad impianti
artigianali, questo ritrovamento consegna una “fotografia” della documentazione
materiale in uso in quest’area nel III secolo, integrando i dati fino ad ora
noti che raramente hanno raggiunto gli strati più antichi delle colonie romane,
a Rimini come a Senigallia.
E’ necessario ricordare la situazione politica e culturale dell’area costiera
della Romagna e delle Marche settentrionali nel IV secolo, prima cioè della
battaglia di Sentino (295 a.C.) che rappresenta un vero e
proprio spartiacque per la nuova politica di espansione della repubblica romana
nell’Italia centro-settentrionale ed adriatica.
Le fonti antiche indicano questi territori come sede dei Galli Senoni mentre
poco più a nord si collocherebbero i Lingoni, popolazione di cui si sa peraltro
assai poco.
La romanizzazione dell’ager gallicus dopo l’eliminazione dei Senoni dalla
scena politica nel 284-283, non si fonda su un contesto territoriale del tutto
disorganizzato.
Dopo la vittoria su Taranto e su Pirro (272), Roma controlla completamente la
costa adriatica occidentale fino alla Romagna. Nell’ager gallicus
compreso tra il fiume Montone e l’Esino si sviluppa nel III secolo una
colonizzazione romana, in parte spontanea, in parte promossa dai leaders del
“partito dei piccoli proprietari” che miravano allo sfruttamento agricolo del
territorio. Questa politica, che fa perno sulle due colonie di Rimini e
Senigallia, si fondava sulla costituzione di una serie di centri intermedi, veri
e propri conciliabula in parte di nuova costituzione, in parte inseriti
in abitati preesistenti, come la stessa colonia di Ariminum, fondata nel 268 in
un insediamento che era stato sotto il dominio senone.
Anche Pisaurum (Pesaro) diviene sede di una robusta immigrazione
centro-italica nel III secolo. Ne è testimonianza emblematica il rinvenimento
del cosiddetto lucus pisaurensis, luogo di culto di tipo salutare collegato a
sorgenti e ad un bosco sacro, probabilmente di origine addirittura preromana.
La documentazione archeologica relativa al III secolo delle due colonie di Sena
Gallica e Ariminum si sta moltiplicando negli ultimi anni.
Il Soprintendente per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Luigi Malnati, fa
notare che le due colonie e il conciliabulum di Pesaro si collocano allo
sbocco di foci fluviali che portano alle vallate appenniniche verso l’Italia
centrale, lungo la rotta marittima costiera che da Ancona conduce verso nord ad
Adria e da qui alle città venete, costanti alleate di Roma. “È in questo
contesto che deve essere compreso anche il nuovo insediamento cui fa riferimento
l’impianto produttivo individuato a Cattolica, presso la foce del Tavollo. Si
tratta certamente di un punto di approdo lungo il medesimo itinerario dove si
erano stabiliti immigrati centro-italici, certo provenienti dalle stesse aree da
cui provenivano i frequentatori del lucus di Pesaro e i coloni di Rimini e
Senigallia. La ceramica recuperata mostra impasti di provenienza tirrenica e
produzioni locali che imitano forme centro-italiche: si tratta di un impianto
produttivo che doveva lavorare a vantaggio dell’insediamento locale, ma che si
inseriva a supporto dei naviganti che sostavano lungo le rotte di piccolo
cabotaggio adriatico.
Certamente il rilievo maggiore del contesto di scavo recuperato deriva dal
grande quantitativo di anfore, recuperate in diverse decine di esemplari, tutte
attribuibili al tipo cosiddetto greco-italico e presumibilmente prodotte sul
posto, su imitazione di quelle di analoga tipologia della Campania, dell’Italia
meridionale o della Sicilia. Poiché, come è noto, le anfore sono un contenitore
da trasporto di liquidi per via marittima e fluviale, cioè per nave, pare chiaro
che il rinvenimento di Cattolica non può che segnalare l’esistenza nell’ager
gallicus del III secolo di una produzione di vino di una qualità ed abbondanza
tale da potere essere esportata. Fino al primo quarto dello stesso secolo le
anfore della stessa tipologia rinvenute nelle Marche, a Spina o ad Adria erano
invece di importazione, presumibilmente dall’Italia Meridionale. Se questo dato
viene confermato, sarà necessario revisionare i rinvenimenti anforari adriatici
dei contesti di pieno e tardo III secolo per identificare il possibile mercato
di esportazione del vino prodotto in quest’area, già magnificato da Catone. Con
la produttività agricola dell’area ha pure diretto riferimento un altro settore
di attività della fornace che agiva a Cattolica, e cioè la realizzazione di
grandi contenitori doliari, che dovevano presumibilmente servire per la
conservazione del vino in loco o per le eccedenze cerealicole.”
Sembra quindi che, anche precedentemente alle leggi agrarie del 232, il
territorio appartenuto ai Senoni sia stato oggetto di una vera e propria
pre-colonizzazione romana con una trasformazione del territorio, che venne
intensamente ripopolato. Ne fanno testimonianza, oltre al nuovo insediamento di
Cattolica, recenti rinvenimenti sia sulla costa che nell’interno, quali quelli
di Riccione, località S.Lorenzo in Strada, Pitinum Pisaurense (Macerata Feltria),
Suasa Senonum, Aesis (Jesi)
In buona sostanza, dopo Sentino i Romani attuano una politica di penetrazione
capillare nel territorio che era stato dei Senoni; tale penetrazione si appoggia
sulle due colonie “ufficiali” di Sena Gallica e Arimunum e si sviluppa per i
decenni centrali del III secolo secondo un itinerario costiero che dalla città
alleata di Ancona raggiungeva Ravenna e Adria passando, oltre che per le due
colonie, per una serie di approdi di foce, che l’archeologia ci mostra attivi, a
Pesaro, Cattolica e Riccione. Tuttavia anche all’interno viene praticata una
penetrazione di coloni provenienti dal centro-Italia, che probabilmente si
fondono con le popolazioni locali, di origine umbra, picena o senone
Durante questa fase di progressiva romanizzazione si verifica certamente anche
l’inserimento delle popolazioni locali negli insediamenti nuovi o rinnovati. Da
questo punto di vista sono significativi i reperti in ceramica grezza di
tradizione locale recuperati anche a Cattolica. Ma soprattutto l’integrazione
tra i coloni e l’elemento indigeno si dovette verificare tramite la religione,
con l’interpretatio da parte dei Romani dei culti precedenti e l’introduzione di
nuove divinità care ai nuovi arrivati. Appare emblematico da questo punto di
vista il santuario presso il lucus pisaurensis, ma anche il santuario presso il
Covignano a Rimini potrebbe avere avuto una fase di monumentalizzazione di età
romana.
I rinvenimenti di Cattolica portano importanti novità anche in questo settore:
la dedica a Iuppiter su un frammento di coppa a vernice nera, così come un altro
frammento con graffito vo, probabilmente interpretabile come votum,
sembrano indicare che la fornace di Cattolica fosse situata nelle vicinanze di
un santuario, per cui probabilmente gli artigiani più abili lavoravano anche
alla produzione di laterizi e elementi architettonici e decorativi. Sembra
naturale pensare che questo santuario potesse essere collocato sul vicino
promontorio di Gabicce, da dove provengono iscrizioni a Iuppiter Serenus: non è
possibile stabilire se questo culto avesse un’origine preromana o se debba
essere attribuito ai coloni. E’ più importante rilevare come l’officina di
Cattolica producesse nel III secolo a.C. decorazioni architettoniche complesse
con elementi figurati che rinnovavano una tradizione già nota nel V secolo in
Etruria padana e a Rimini, ma che ora riceveva un nuovo impulso dall’ondata di
coloni e immigrati centro-italici.
Battaglia di Sentino (295 a.C.)
Umbri, Etruschi, Galli Senoni ma anche greci di Siracusa, Piceni, Sanniti.
Nessun alleato, tutti contro tutti, anzi, i Celti addirittura separati in casa.
Così le potenze regionali si dividevano il territorio dell’Italia centrale nel
IV secolo a.C.
E poi c’era Roma, la più intraprendente di tutte. Da piccolo centro urbano, nato
su un guado del fiume Tevere, aveva saputo sganciarsi dal dominio etrusco,
dandosi un'organizzazione militare e civile talmente efficiente da consentirle
di intraprendere una politica di espansione che non conosceva pause.
Le altre potenze se n’erano accorte ma ognuna reagiva a modo suo, facendo il
gioco di Roma.
Solo Gellio Egnazio, capo dei Sanniti, si rese conto che per bloccare l'avanzata
romana era necessario formare una coalizione tra tutte le nazioni minacciate più
da vicino dall'Urbe. Le sue capacità politiche convinsero i popoli confinanti
con i romani a formare la coalizione, costituita da Sanniti, Etruschi, Umbri e
Galli Senoni. I Piceni, invece, si allearono con Roma.
La campagna bellica culmina nel 295 a.C. con la battaglia di Sentino, località a
metà strada tra Ancona e Perugia.
Il vero significato di questa battaglia -vinta dai romani a prezzo di 8mila
perdite umane, contro i 25mila morti fra i Galli e i Sanniti, oltre a 8000
prigionieri- è che Roma, pur non essendo superiore alle altre potenze della
penisola, dimostra di essere virtualmente indistruttibile e imprescindibile
nello scacchiere geografico, presente e futuro.
Pur vincendo, Roma non conquista subito i territori: per l'Urbe il senso della
battaglia di Sentino è la possibilità di continuare la politica di egemonia sul
resto della penisola.
Quanto ai Galli Senoni, popolazione di mercenari pronti a combattere al soldo di
chiunque gli avessero offerto forti compensi in oro e bottini di guerra, per
loro la battaglia di Sentino -combattuta sul proprio territorio- rappresentò la
definitiva uscita di scena dalla lotta per il predominio sulla penisola.
Approfittando della débacle celtica, i Romani si impadroniranno di metà del loro
territorio dopo pochi decenni.