Le indagini archeologiche sul colle Garampo a Cesena
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Nel corso delle indagini condotte sul colle Garampo nel settembre 2005, sono state rinvenute tracce di strutture inquadrabili nel III sec. a.C., un momento cruciale per la comprensione del passaggio dall’insediamento protostorico alla nascita della città romana .
Lo scavo, se pure di limitata estensione, ha consentito di mettere in luce il nucleo centrale di una capanna a base infossata, scavata direttamente nei livelli di terrazzamento artificiale del colle.
Il taglio, orientato con asse nord-sud e ampio m 4,50 x 2,50 circa, presenta pianta solo parzialmente regolare, essendo suddiviso verso il fondo in due avvallamenti contigui destinati ad ospitare, rispettivamente, un pozzetto deposito, a pianta rettangolare (cm 130 x 90) e base piana, profondo circa 120 cm (figg. 4-5) e un focolare (fig. 6). Il focolare, a pianta ellittica, di dimensioni 80 x 40 cm e orientato E – W, era costituito da un piano in argilla concotta con carboni e cenere, di una decina di cm di spessore, perimetrato da ciottoli fluviali disposti in piano.


Il pozzetto a scavo ultimato


Il focolare interno alla capanna

Lungo i margini meridionale e occidentale, tra il limite di taglio esterno e la depressione interna, si conservava una fascia di terreno intermedia, una sorta di “banchina perimetrale” probabilmente destinata a sorreggere o l’imposta delle pareti o un impiantito ligneo di copertura della depressione interna.
L’alzato della struttura era retto da due pali centrali interni, grazie ai quali si può delineare l’asse mediano della capanna; purtroppo, a causa degli interventi di età posteriore, particolarmente incisivi lungo il limite orientale, non è invece possibile ricostruirne il perimetro esterno, sicuramente più ampio dell’area sottoscavata. Nonostante tali lacune, le tracce, in negativo, di piccole buche simili per dimensioni e forma (circa cm 10 di diametro e profondità tra i 10 e i 15 cm), evidenziatesi sul lato occidentale, non sembrano lasciare dubbi nello stabilire la loro originaria utilizzazione per l’impianto di pali verticali. All’interno delle buche sono stati rinvenuti frammenti di concotto incannuciato, quanto resta cioè delle pareti delle capanna, costituite da un intreccio di rami rivestito con un impasto di argilla e paglia.


Il nucleo centrale della capanna: si vedono chiaramente  le buche di palo portanti

Le caratteristiche strutturali della capanna non si discostano fondamentalmente da quanto attestato in regione a partire già dall’abitato villanoviano di Bologna e, successivamente, negli insediamenti di VI-V secolo dell’Etruria padana e della Romagna umbra. Particolarmente interessante, data la contiguità cronologica e culturale è però il confronto con le capanne preromane rinvenute nell’area dell’ex Seminario di Sarsina e datate tra la fine del IV secolo a.C. e la prima metà del III. Esse presentano, infatti, alcune peculiarità tecniche accostabili a quelle della capanna del Garampo, quali la base infossata con due avvallamenti contigui, destinati rispettivamente all’alloggiamento di un pozzetto-deposito e di un focolare e la presenza della banchina laterale.
Dall’esame dei depositi archeologici, infine, è possibile delineare due fasi nell’utilizzo dell’area: originariamente “fondazione” e vita di un contesto abitativo con tutte le dinamiche del caso (costruzione di alzati-buche di palo; stoccaggio di cibi-pozzetto; attività di cottura-focolare) e, in un secondo momento, con l’abbandono di tali attività, riutilizzo del medesimo spazio come fossa di scarico. A questo evento, indicativamente databile tra la fine del III e l’inizio del II sec. a.C., sarebbe da imputare anche la scomparsa degli eventuali piani di calpestio coevi alla funzione originaria della struttura.

I materiali della capanna
Anche se la maggior parte del materiale proveniente sia dagli strati d’uso della capanna, in particolare dal pozzetto deposito, che dai livelli di abbandono rientra nella classe della ceramica di impasto, non mancano importanti attestazioni di forme di ceramica a vernice nera.
Il gruppo più consistente di frammenti riconoscibili (una cinquantina) è costituito da coppe emisferiche con orlo leggermente introflesso (forma Lamboglia 27); seguono (con una decina di frammenti) le coppe della serie Morel 1552, con l’orlo ripiegato verso l’esterno. Il dato trova perfetto riscontro a Rimini nelle produzioni riminesi, attestate a partire dalla metà del III sec. a. C.
La lucerna, come il vasellame da mensa, mostra legami con le officine riminesi e di conseguenza con i prototipi laziali dei primi decenni del III sec. a. C.
I reperti ci portano, con pochissime eccezioni, al III sec. a. C. e più precisamente, nel maggior numero dei casi, alla seconda metà del secolo. Orienta invece verso una cronologia più tarda la lucerna in ceramica a vernice nera, lavorata al tornio, che potrebbe datarsi all’inizio del II sec. a. C.
Particolare attenzione merita il bollo a rosetta sul fondo di una coppa, che trova esatto riscontro in esemplari riminensi e che, fino al ritrovamento del colle Garampo, era senza confronti al di fuori di Rimini e del territorio circostante. Le stampiglie sui vasi riminesi sono generalmente di tipo piuttosto diffuso (la palmetta, il fiore di loto, ecc.), ma tra le eccezioni si annovera proprio il decoro in questione: le rosette dell’Atelier presentano usualmente otto petali, mentre alcune coppe di produzione riminese presentano rosette di dimensioni maggiori e con sette petali: al posto dell’ottavo la stampiglia ha impresso il nome del vasaio (IC VV secondo alcuni studiosi; M K - iniziali del vasaio (Lucius) Minucius Karus – secondo altri).
Quanto alla ceramica di impasto, sebbene rimandi a prototipi già diffusi nei contesti romagnoli della media età del ferro, particolarmente stringenti sono i confronti con i reperti venuti in luce nell’abitato preromano di Sarsina. Le forme attestate sono limitate e poco differenziate: si registrano quasi esclusivamente olle ad orlo estroflesso e scodelle. L’impasto, abbastanza grossolano e ricco di inclusi micacei e di calcite, è lavorato a mano o al tornio lento.

Sestante in bronzo del 212-210 a.C.
Scarsi i frammenti in impasto semidepurato, generalmente attribuibili a scodelle o ollette-bicchieri. Le decorazioni sono limitate a bugne applicate sul corpo dei vasi e a motivi lineari di impressioni digitali, disposti sull’orlo o lungo il bordo delle prese dei coperchi. Interessante è un esempio di decorazione incisa, ad angoli alternati.
Tra le forme accertate, infine, non mancano alcuni vasetti miniaturistici nonché elementi che rimandano alle attività domestiche della filatura e della tessitura: pesi da telaio, rocchetti e fusaiole. Dal pozzetto deposito proviene, poi, un sestante in bronzo del 212-210 a.C.
Provengono da Palazzo Fabbri alcuni vasi in ceramica grigia, tra cui due brocche a bocca trilobata, note in importanti contesti romagnoli fin dal V secolo a.C., come nell’abitato sul colle del Covignano, a Rimini, ma ancora attestate nel IV sec. a.C. nelle necropoli celtiche di Bologna.

Gli scavi 2005, diretti da Maria Grazia Maioli e Monica Miari, sono stati eseguiti da Akanthos Ricerche Archeologiche S.n.c. (FC) per il Comune di Cesena; responsabili di cantiere Michelangelo Monti e Luca Tagliani