Nel 2008, durante i lavori preliminari del futuro Parco archeologico di
Verucchio, sono venute alla luce numerose tombe della necropoli villanoviana
situata ai piedi della Rocca Malatestiana.
Dalla Tomba 12 della necropoli Lippi sono emersi un bacile e un calderone in
bronzo, rinvenuti l'uno dentro l’altro, schiacciati e deformati a causa della
pressione esercitata dal peso della terra.
Il calderone e il bacile al momento del ritrovamento (Archivio foto SAR-ERO)
Gli oggetti sono stati prelevati dallo scavo con il pane di terra, imballati
e trasportati presso il Laboratorio della Soprintendenza per il restauro.
Particolarmente complessa si è rivelata l’operazione di svuotamento dalla terra
per liberare gli oggetti, in quanto, al momento dell’intervento di restauro, si
era oltremodo indurita e ciò ha reso più difficoltoso lo smontaggio tramite il
distacco e il prelievo delle varie porzioni.
Gli oggetti si presentavano molto frammentati, soprattutto nella zona del fondo,
anche a causa dello sfondamento della lamina provocato dalla rottura dei piedi,
che in seguito alla conformazione dell’oggetto, si erano ripiegati spezzandosi.
Sfondamento della lamina del bacile (foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
La mineralizzazione del metallo poi, generando una condizione di estrema
fragilità della lamina, aveva concorso alla particolare frammentarietà dei due
oggetti, a cui vanno aggiunte alcune difficoltà operative in fase di scavo che
avevano comportato la necessità di effettuare il prelievo senza un sufficiente
spessore di terreno sottostante, compromettendo la possibilità di mantenere in
posizione i numerosissimi piccoli frammenti del fondo del calderone, rimasti
così slegati.
Durante lo svuotamento, effettuato per successivi livelli, sono state fatte
numerose fotografie per posizionare temporaneamente i frammenti (man mano
trovati e liberati dalla terra) nella posizione di rinvenimento, senza perdere
la loro collocazione.
Da sin.
Frammenti del fondo del calderone e posizionamento dei frammenti durante lo
smontaggio (foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
Ciò ha permesso in seguito di poter effettuare la ricerca degli attacchi tenendo
conto dell’interpretazione dei dati di crollo e dello schiacciamento dei due
oggetti, agevolandone così la ricostruzione.
Le porzioni della zona dell’orlo e parete -parti maggiormente solide che, anche
se frammentate e fessurate, erano rimaste in posizione- sono state
temporaneamente consolidate e fermate mediante l’applicazione di garze con
resina acrilica.
Da sin. Fessurazione e frammentazione degli oggetti e applicazione di garze con
resina acrilica (Foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
Sono stati poi creati dei gusci contenitivi, mediante l’applicazione di bende
gessate, che hanno permesso lo smontaggio tramite il distacco della relativa
porzione inglobata, mantenendo i frammenti in connessione.
Per il bacile inoltre, sempre mediante l’utilizzo di bende gessate, è stato
fatto un calco della parte meglio conservata, da usare in seguito come base
d’appoggio per la ricostruzione della porzione più frammentaria e lacunosa.
Da sin. Applicazione delle bende gessate e calco da usare come base d’appoggio
per la ricostruzione (foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
Le parti staccate erano spesso costituite da numerosi piccoli frammenti che, anche se in apparente connessione tra loro, non risultavano essere nella corretta posizione per l’incollaggio e presentavano incrostazioni e concrezioni di prodotti di corrosione sulla superficie di frattura.
Calco della parte meglio conservata da usare come base d’appoggio per la
ricostruzione (foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
Si è quindi proceduto a rimuovere la garzatura e ad effettuare una prima
parziale pulitura, per permettere il corretto posizionamento ed incollaggio.
Dopo avere conferito maggiore solidità a seguito della ricostruzione, operata
attraverso l’incollaggio e l’integrazione delle parti mancanti, è stata
effettuata una pulitura più approfondita, orientata alla messa in luce della
superficie originale, per restituire la leggibilità dei particolari decorativi e
dei segni di lavorazione, nascosti dalle incrostazioni terrose e dai prodotti di
corrosione del metallo.
Si è operato principalmente con mezzi meccanici, ammorbidendo le incrostazioni
con una soluzione di acqua demineralizzata e alcool etilico al 50%, utilizzando
il bisturi, piccole frese e spazzoline morbide montate su microtrapano,
lavorando sotto il microscopio binoculare. La stabilizzazione del metallo è
stata effettuata mediante l’applicazione di Benzotriazolo per l’inibizione della
corrosione, il consolidamento e la protezione superficiale sono state operate
attraverso l’applicazione di resina acrilica.
A restauro ultimato, considerata la fragilità e l’eccessivo sforzo meccanico
esercitato dal peso degli oggetti su sé stessi, sono stati creati supporti in
plexiglass, opportunamente sagomati per permettere di scaricare tale peso. Per
la creazione del supporto è stato realizzato un calco sul quale modellare la
base di appoggio del bacile.
Da sin. Creazione del supporto in plexiglass e realizzazione del calco per la
modellazione della base d'appoggio - Foto
Micol Siboni, SAR-ERO
Durante il restauro sono stati campionati -per le analisi- i carboni e i semi
trovati nella terra all’interno degli oggetti ed è stato anche fatto il
campionamento della terra presente all’interno delle cavità nei piedi del bacile
poiché si erano osservate tracce di fibra vegetale che avevano fatto pensare
alla possibilità che vi fossero piedini di legno che non si erano conservati.
Per poter individuare i punti precisi dei prelievi dei campioni e non perdere le
informazioni relative alla dinamica del crollo, sono state attribuite delle
lettere ai diversi frammenti dei piedi del bacile e sono state registrate sulle
fotografie digitali.
Registrazione delle lettere attribuite ai frammenti dei piedi del bacile
(foto
Micol Siboni, SAR-ERO)
Nella ricostruzione si sono rispettate le deformazioni
degli oggetti, considerate parte integrante della loro storia.
Gli oggetti sono esposti dal 2010 nel Museo Civico Archeologico di Verucchio.
Il bacile tripode e il calderone in bronzo a restauro ultimato (foto Roberto Macrì, SAR-ERO)
Informazioni scientifiche del
Laboratorio di restauro della SBAER, restauratrice
Micol Siboni
Referente per la parte archeologica, Annalisa
Pozzi
(archeologa)
Foto di Roberto Macrì e Micol Siboni (Archivio Soprintendenza Archeologia Emilia-Romagna)
Pagina a cura di Carla Conti