Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Musei Civici di Reggio Emilia, Comune di
Castelnovo ne’ Monti ed Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano
in collaborazione con il Club Alpino Italiano e con
il patrocinio della Provincia di Reggio Emilia
dal 19 aprile al 2 novembre 2014
Antichissima
Bismantova: il sito pre-protostorico di Campo Pianelli
150 anni di ricerche
Palazzo
Ducale
Via Roma n. 12
Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia)
inaugurazione sabato 19 aprile alle ore 17
Ingresso gratuito - vai agli orari di apertura
info e contatti 0522.610204 (Biblioteca Comunale "Raffaele Crovi")
biblioteca@comune.castelnovo-nemonti.re.it
educazioneambientale@parcoappennino.it
Campo Pianelli era sicuramente un sito strategico, posto ai piedi della Pietra
di Bismantova
in un punto dove erano presenti numerose sorgenti che invece mancavano sul pianoro
sommitale, che però costituiva un vicino e sicuro rifugio in caso di emergenza.
Il primo modesto insediamento, collegato agli oggetti più antichi rinvenuti,
risale alla fine dell’età del Rame (circa 2500 a. C.) e nello specifico alla
cosiddetta “Cultura del bicchiere campaniforme”.
Diversi secoli dopo, cioè nella fase piena della media età del Bronzo, si
insedia un villaggio ben più esteso che perdura per almeno tre secoli (dal XV al
XIII sec. a.C.) su buona parte del pianoro e che probabilmente è abitato da un
centinaio di persone. Sono state rinvenute tracce di capanne, una delle quali
trovata anche negli scavi del 2012. Si tratta delle stesse popolazioni che
costruivano le Terramare in pianura.
Quando agli inizi del XII sec a.C. questa civiltà va in crisi, anche l’abitato
di Campo Pianelli cessa di esistere.
Circa un secolo dopo, cioè nell’XI sec. a.C. e per tutto il X (dunque nell’età
del bronzo finale) viene impiantata l'ormai famosa necropoli, il cimitero a
cremazione di un villaggio di cui ancora ignoriamo l'ubicazione (chissà,
forse proprio sulla Pietra).
Infine, dopo circa mezzo millennio di abbandono, cioè alla fine del VI sec.
a.C., troviamo i resti di un nuovo abitato che ha restituito reperti di tipo
etrusco e ligure. Questi manufatti sembrano testimoniare la presenza di entrambe
le genti, forse in un intreccio tra le due culture. Poi verso il IV secolo anche
questo abitato si interrompe e su Campo Pianelli troviamo solo occasionali
tracce di frequentazioni romane o medievali.
Resti di capanna bruciata in corso di scavo (Campagna di scavo 2012)
Dal 19 aprile, gli spazi dell’antico Palazzo Ducale, edificio realizzato sotto Francesco IV
d’Este, ospitano l'importante mostra archeologica “Antichissima Bismantova: il sito pre-protostorico di Campo Pianelli.
150 anni di ricerche”.
L'esposizione è ricca di spunti di grande interesse sia per il legame con un luogo straordinario e
di immenso valore ambientale,
la Pietra di Bismantova, sia per l’importanza archeologica e storica dei suoi
contenuti che vanno dai primi scavi nell'area di Campo Pianelli condotti nel
1865 da Gaetano Chierici ai
ritrovamenti che si sono susseguiti nei successivi decenni.
Per sei mesi il Palazzo Ducale ospita una buon numero di reperti abitualmente
custoditi ai Musei Civici di Reggio Emilia, rinvenuti nel corso degli anni nel
villaggio e nella necropoli di
Campo Pianelli, alle pendici di Bismantova, utilizzati fin dall’età
del Rame e più intensamente nell’età del Bronzo.
La mostra è frutto di un'importante collaborazione tra la Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (l'archeologa Daniela Locatelli), i Civici
Musei di Reggio Emilia (in particolare l’archeologo Iames Tirabassi, curatore della mostra che ha condotto a Bismantova
numerose campagne di scavo), l’Assessorato alla Cultura del Comune di Castelnovo
ne' Monti e l'Ente Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano nel
cui perimetro è ufficialmente compresa dal 2010 la Pietra di Bismantova, un
unicum di rilevanza nazionale per le straordinarie caratteristiche
geologiche e archeologiche.
La
mostra rappresenta un'occasione unica per vedere una serie di reperti
straordinari nell’ambiente in cui furono creati e ritrovati. Gli scavi in Campo Pianelli a Bismantova
(iniziati con Gaetano
Chierici a partire dal 1865) hanno intercettato
decine di sepolture, principalmente in ossuari costituiti da grandi vasi
biconici con relativi corredi. Questi vasi ceramici di grande importanza,
corredati da numerosi manufatti in bronzo e in osso, oltre a varie
suppellettili di elevato valore archeologico costituiscono la base di una
sezione dei Musei Civici di Reggio Emilai.
Ora, per la prima volta, questa imponente collezione torna in modo pressoché
completo in Appennino, all’ombra della Pietra di Bismantova, monumento naturale
simbolo di un territorio e testimone di una storia locale millenaria che parte
dalla protostoria accogliendo anche Liguri e Bizantini.
La mostra parte dall'analisi della Pietra di Bismantova, illustrando la sua
collocazione geografica nell’ambito della montagna reggiana, la sua genesi
geologica e la sua trasformazione nel corso dei secoli.
Da qui si passa allo studio del sito di Campo Pianelli, disegnandone sia la
morfologia naturale che la sedimentazione antropica. Il livello più profondo
della stratigrafia archeologica conserva tracce di una prima frequentazione
avvenuta nell’età del Rame da parte di gruppi pertinenti alla Cultura del
Bicchiere Campaniforme.
Lo strato successivo, spesso fra i 30 ed i 40
centimetri, è pertinente all’età del Bronzo e conserva testimonianze che vanno
dal Bronzo Medio pieno al Bronzo Recente (forse anche evoluto). Due distinte
vetrine, corredate da pannelli, inquadrano i due diversi periodi mentre un
ulteriore spazio è dedicato alle strutture del Bronzo Recente, in particolare al
pavimento della capanna scavata nel 1973-74 e ai resti di quella bruciata,
riportati in luce nel 1974 e nel 2012.
La sequenza stratigrafica è chiusa da una scelta di reperti rinvenuti sia
all’interno della così detta “massicciata” etrusca, sia nella fossa parzialmente
esplorata nel 2012. Una vetrina ospita i reperti etruschi che costituiscono la
stragrande maggioranza dei rinvenimenti mentre una seconda vetrina espone gli
scarsi reperti attribuiti ai liguri o compatibili con questa popolazione. Anche
in questo caso un pannello è dedicato all’evoluzione storica della Pianura
Padana fra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio della romanizzazione, mentre
altri due forniscono il quadro delle ricerche in Appennino sulla presenza di
siti etruschi e liguri.
Una sezione particolare, di notevole impatto visivo, è dedicata alla necropoli
del Bronzo Finale: l'esposizione in vetrina singola di 14 tombe, selezionate per
la particolare tipologia e ricchezza di corredi, è completata da una
quindicesima vetrina che contiene altri importanti reperti rinvenuti nella
necropoli. I relativi pannelli illustrano sia la situazione in Emilia-Romagna
durante il Bronzo Finale, che le caratteristiche strutturali e planimetriche
della necropoli di Campo Pianelli.
orari di apertura
dal 19 aprile al 4 maggio tutti i giorni dalle 15,30 alle18,30
dal 5 maggio al 29 giugno sabato, domenica e festivi dalle 16 alle 19
dal 30 giugno al 14 settembre tutti i giorni (tranne mercoledì) dalle 16 alle 19
più apertura serale del venerdì dalle 20,30 alle 23
dal 15 settembre al 2 novembre sabato, domenica e festivi dalle 15,30 alle 18,30
Catalogo a cura di Iames Tirabassi
Coltello in bronzo a lama serpeggiante (Scavi Ottocenteschi)
CAMPO PIANELLI, il villaggio e la necropoli
di Iames Tirabassi
Il 5 ottobre del 1875, i membri della neonata Sezione Alpinisti dell’Enza si recarono a Castelnovo ne’ Monti e, sotto la guida di don Gaetano Chierici, giunsero a Campo Pianelli, una località posta ai piedi della Pietra di Bismantova dal lato della pianura. Qui, su un terrazzo incredibilmente piatto per la montagna, venne iniziato uno scavo volto ad appurare in quali condizioni fossero stati rinvenuti, dai fratelli Rubini, i resti di diverse tombe che, dal 1864, questi ultimi andavano recuperando ogni qualvolta dissodavano il pietroso campo di loro proprietà. La fortuna fu generosa con il piccolo gruppo di esploratori, poiché nell’arco di soli due giorni fu individuato e riportato in luce un sepolcro ad incinerazione pressoché intatto. Nel 1973, a quasi un secolo da quel giorno, nella Raccolta Chierici, facevano bella mostra di sé, sia la tomba scavata personalmente dal fondatore del nostro museo, opportunamente ricostruita, che numerosi altri ossuari con i relativi corredi, oltre a vari reperti rinvenuti nel corso dei lavori agricoli.
Teca con materiale dal "Sepolcro di Bismantova" datato al I° periodo dell'età
del Ferro
Naturalmente, nella seconda
metà dell’Ottocento Castelnovo ne’ Monti era un luogo difficile da raggiungere
per cui quasi tutti i reperti di Campo Pianelli non furono rinvenuti da
archeologi, ma dai proprietari del campo e dai loro contadini. Fu pertanto per
avviare indagini scientifiche su questa importante necropoli dell’età del bronzo
finale che Giancarlo Ambrosetti (da poco divenuto direttore del nostro museo), a
seguito di alcuni rinvenimenti occasionali, decise di intraprendere in
quell’anno, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna, campagne di scavo volte ad indagare non solo la necropoli, ma anche la
stratigrafia e le eventuali strutture del sito pluristratificato indiziato dai
numerosi reperti della Raccolta Chierici.
I risultati furono in breve tempo di grande rilievo: vennero individuati alla
base della stratigrafia i resti di modeste strutture della fase finale dell’età
del rame, caratterizzata da recipienti in ceramica fine riccamente decorati
(Cultura del bicchiere campaniforme: seconda metà del III millennio a. C.).
Sopra giacevano, ben conservati, i resti di un abitato dell’età del bronzo sorto
nel XV sec. a. C. e protrattosi per almeno due secoli. Questo villaggio di
montagna che occupava tutta la superficie di Campo Pianelli, quindi circa mezzo
ettaro, fu fondato dalle stesse genti che diedero vita alle grandi terramare di
pianura, ma varie sono anche le testimonianze di contatti con le popolazioni
della penisola, ben evidenti soprattutto nella presenza di ceramiche
“appenniniche” e “ subappenniniche”.
Dopo l’abbandono del pianoro avvenuto presumibilmente fra la fine del XIII sec.
e l’inizio del XII l’area fu riutilizzata, ma solo agli inizi dell’XI, come
necropoli e non è chiaro se fu in quel momento che la sua superficie, già
pianeggiante, venne ulteriormente sistemata con quella che Ambrosetti definì una
“massicciata” realizzata con i ciottoli d’arenaria del luogo. All’interno di
questa struttura, sul margine N-O del campo, erano collocate le tombe del Bronzo
Finale, solitamente definite di Cultura Protovillanoviana, datate all’ XI e X
secolo a. C., ma molti sono anche i reperti di età etrusca che, caduti fra i
suoi interstizi, denunciano una successiva occupazione del pianoro avvenuta fra
VI e V sec. a. C. (forse per questo nell’immaginario dei montanari la necropoli
del Bronzo Finale è da sempre definita “ il cimitero etrusco”). Io stesso nel
1974, in uno dei sondaggi che stavo eseguendo all’interno della massicciata,
rinvenni un bel gancio da pozzo in corno e due grosse fibule in bronzo di “tipo
Certosa”. Tornando alla necropoli, diciamo che fra 1973 e 1974, in tre diverse
campagne di scavo, furono esplorate e recuperate 19 tombe, due delle quali con
ricco corredo. Nel 1982 la Soprintendenza riprese gli scavi con l’intento di
meglio esplorare l’abitato, ma, purtroppo, con finanziamenti insufficienti per
concludere le indagini, che furono pertanto interrotte e mai più riprese.
La necropoli di Campo Pianelli era costituita da tombe a incinerazione che
furono deposte all’interno di piccole cassette realizzate con lastre di
calcarenite della “Formazione di Bismantova” sfaldatesi naturalmente.
All’interno veniva collocato l’ossuario, cioè un vaso, quasi sempre di forma
biconica, in cui trovavano posto le ossa combuste della salma cremata e quei
pochi frammenti della “parure funebre” che l’alta temperatura del rogo non aveva
completamente distrutto. A differenza che nel rito crematorio della civiltà
terramaricola, qui spesso venivano deposti sui resti umani corredi più o meno
ricchi (oggetti appartenuti al defunto o doni offerti dai parenti). In alcuni
casi poi, l’ossuario, che non è una semplice pentola di uso comune, ma un
recipiente appositamente realizzato, veniva chiuso con un vaso capovolto e la
tomba sigillata con un’ennesima lastra di arenaria. Già gli ossuari stessi sono
spesso dei reperti di pregio perché riccamente decorati con motivi geometrici
realizzati mediante solcature, coppelle o “falsa cordicella” (l’impressione
sulla ceramica fresca di una fibula - spilla da balia - in filo di bronzo
ritorto), ma sono soprattutto i corredi a sorprenderci per la loro ricchezza,
varietà ed elevata qualità artigianale e artistica. Fra quelli maschili ne
spiccano tre, tutti caratterizzati dalla presenza di un rasoio, ma privi di
armi: nel corredo più complesso, oltre al rasoio, c’è un bel pendaglio in pietra
e vari oggetti in bronzo (una pinzetta, uno spillone, un bottone, vari frammenti
di saltaleoni – elementi di collana -e due anelli); nel secondo c’è una fibula
ad arco ritorto e il rasoio, semilunato, è di un tipo la cui produzione è
attestata in Versilia a Valdicastello, dove è stata rinvenuta una forma fusoria
che servì a produrre esemplari simili; nel terzo il rasoio, forse unico elemento
di corredo della tomba da cui proviene (fu rinvenuto nel 1963 dall’amico Arnoldo
Cartini fra i frammenti di un ossuario franato lungo una scarpata del pianoro),
è riccamente decorato con motivi incisi e il suo appiccagnolo è conformato a
testa di uccello acquatico (quasi certamente un cigno).
Fra i corredi femminili,
solitamente piuttosto modesti, ne è stato rinvenuto uno di eccezionale
importanza, nel 1973, dal sig. Sergio Marastoni di Castelnovo ne’ Monti. Oltre a
due belle fibule ad arco semplice con nodi, due anellini, un fermatrecce e due
conchiglie marine di provenienza tropicale (Cypraea e Trochus ), esso conteneva
una bellissima collana composta da oltre 300 perle in pasta vitrea, di cinque
diversi tipi, 49 dischetti di calcite e 19 vaghi d’ambra. Quelle in vetro sono
state recentemente studiate dal dott. Paolo Bellintani della Soprintendenza ai
Beni Archeologici di Trento. Lo studio ha rafforzato quanto si sospettava e cioè
che le perline siano di produzione europea e non orientale e, forse, realizzate
in un’officina del vasto abitato protostorico polesano di Frattesina (Rovigo).
Le perle d’ambra invece appartengono a due diversi tipi ben noti in tutta
Europa: uno viene definito tipo Allumiere e prende nome da una località della
Toscana, mentre il secondo è costituito dal tipo Tirinto, così denominato perché
esemplari furono trovati nel tesoro di quella città dell’Egeo.
Collana in ambra e pasta vitrea (Tomba 1, scavi 1973)
E’ quindi
evidente, se teniamo conto di questi confronti che ci documentano contatti con
regioni geografiche anche molto lontane, che Campo Pianelli, situato nel cuore
della montagna reggiana, in un’area che fino alla metà del secolo scorso era
difficilmente raggiungibile, nel Bronzo Finale stava su una delle principali vie
di comunicazione dell’Europa protostorica ed era abitato da genti che avevano
riti, culti e miti comuni a tutta la penisola. Fra i riti, particolare rilievo,
come abbiamo detto, ebbe la produzione di veri e propri ossuari che da quel
momento furono visti come recipienti destinati esclusivamente ad ospitare i
resti del cremato. La loro forma, quasi sempre biconica, è intesa a
rappresentare il corpo del defunto; sul vaso comincia ad essere sovrapposta una
ciotola capovolta che non serve solo per chiudere l’urna, ma vuole anche
simboleggiare il capo del defunto. Le anse, che invece stanno ad indicare le
braccia, in diverse delle urne di Campo Pianelli mancano e non sono state
rinvenute all’interno della cassetta di pietra che conteneva l’ossuario. Ciò
perché si sta affermando una nuova forma di rito che prevede l’asportazione di
una o di entrambe le anse, per evidenziare che la vita è stata interrotta (un
po’ come le nostre tombe con le colonne spezzate). Tutto ciò troverà la massima
espressione nel Villanoviano, periodo della prima età del ferro che prende il
nome dal ricco sepolcreto rinvenuto nell’800 a Villanova di Bologna. In questa
fase della protostoria i biconici, sempre più antropomorfi, verranno chiusi con
un canopo, un vaso che rappresenterebbe addirittura il volto del defunto, e le
urne verranno prodotte “già rotte”, cioè con una sola delle due anse. A
illuminarci su culti e i miti della protostoria, vengono in aiuto eclatanti
rinvenimenti avvenuti sia in Italia che nel resto dell’Europa. Grazie ad essi
sappiamo che nell’ età del bronzo un culto di grande impatto fu quello del sole,
rappresentato in modo simbolico su molti oggetti, ma soprattutto
inequivocabilmente raffigurato nel carretto rituale rinvenuto a Trundholm in
Danimarca. In esso è rappresentato il disco solare in oro trainato da due
cavalli, raffigurazione che riproduce il soggetto principale del Mito di Fetonte
e delle Eliadi. Il carro solare di Elio (il sole) guidato maldestramente da
Fetonte, suo figlio, fu fatto precipitare da Giove in Eridano (da molti
considerato il Po): le tre Eliadi, sorelle di Fetonte, lo piansero a lungo, fino
a quando furono trasformate in pioppi e le loro lacrime in ambra.
A ribadire l’antichità di questo mito è intervenuta recentemente una eccezionale
scoperta: a Nebra in Germania è stato recuperato uno stupendo disco in bronzo,
che, se autentico, daterebbe al 1600 a.C. Esso raffigura la volta celeste; oltre
al sole, alla luna (o, in alternativa, due fasi della luna) e alle Pleiadi, vi
sono rappresentati anche l’orizzonte, all’alba e al tramonto, e fra di essi è
collocata la “barca solare”. Stando alla mitologia questa barca serviva ad Elio
per fare, di notte a ritroso sull’oceano, il viaggio compiuto durante il giorno
sul mondo con il carro che trasportava il sole. A Campo Pianelli, come in altri
siti del bronzo finale italiani, tale mitologia è ben documentata su oggetti di
pregio inseriti nelle tombe: l’ambra delle collane e il disegno stilizzato della
barca solare, che possiamo osservare su uno degli ossuari più riccamente
decorati. Il rasoio con testa d’uccello acquatico, appunto quella di un cigno,
sembra poi legarsi ad un altro racconto mitologico connesso ai testè citati:
Cicno, re dei Liguri, alla morte dell’amico Fetonte, per il forte dolore, si
trasformò in cigno.
Pare quindi che Campo Pianelli, collocato nel cuore dell’Appennino emiliano, sia
partecipe di riti noti in tutta l’Europa proto-storica e rappresenti uno dei
trait d’union fra Italia continentale, penisola e Tirreno, grazie alla sua
collocazione al confine fra mondi e popoli diversi.