Il
monastero di S. Antonio in Polesine fu fondato nel 1257 dalla beata Beatrice d'Este
su un'isola che si era formata sul corso del Po e che tale rimase fino al 1451
quando Borso d'Este decise di riunificarla alla città. Nonostante ciò, il suo
carattere insulare è sempre rimasto evidente sia nella planimetria urbana che,
ancora di più, nell'aspetto architettonico e nell'atmosfera che rimane intatta
tuttora in questa parte della città. Ancora oggi i ferraresi sono attratti da
questo monastero e replicano ad ogni primavera il rito consolidato della visita
al ciliegio giapponese che fiorisce maestosi all'entrata della chiesa.
Gli
scavi del complesso conventuale di S. Antonio in Polesine sono stati un importante esempio di
riuscita collaborazione tra diverse Soprintendenze del Ministero su un tema,
quello dell'archeologia medievale, che deve naturalmente tenere conto delle
diverse competenze e sensibilità non solo di chi è preposto alla tutela ma anche
di chi ha il difficile compito di coordinare saperi diversi, da quello
strettamente archeologico a quello di storia delle architetture e dei beni
artistici, a quello archivistico e urbanistico.
Il volume espone il risultato complessivo degli scavi, dipingendo un affresco
composito in cui l'analisi tradizionale dei reperti e dei contesti di scavo
(compito primario dell'archeologia) si sposa con il loro inserimento nel
contesto storico e monumentale del complesso monastico, in un arco cronologico
che va dal XIV al XVIII secolo. Vengono così messi in luce aspetti
inediti, curiosi e significativi dei livelli di vita della città di Ferrara in
alcune fasi cruciali della sua storia, anche da un punto di vista molto
particolare quale quello di un convento di monache, alcune delle quali certo
appartenenti alle migliori famiglie patrizie prima dello Stato estense e poi di
quello Pontificio.