Archeologia dell'Emilia Romagna

[Indice Notiziario]


2. Eta' Preromana

Provincia di Parma

2.1. Fidenza, loc. Ca’ Vecchia Cabriola
2.2. Fidenza, loc. Ca’ il Pirlone
2.3. Fidenza, loc. Case Nuove di Siccomonte
2.4. Parma, loc. Gaione
2.5. San Polo d’Enza, loc. Pontenovo
2.6. Campegine, Via Aldo Moro

Provincia di Modena

2.7. S. Damaso, via Scartazza, cave SEL

Provincia di Bologna

2.8. Bologna, Piazza Azzarita
2.9. Marzabotto, Pian di Misano
2.10. Marzabotto, Regio IV, insula 2.

Provincia di Forlì

2.11. Savignano sul Rubicone, loc. S. Giovanni in Compito, Via Montilgallo

Provincia di Parma

2.1. Fidenza, loc. Ca’ Vecchia Cabriola

Durante lo scavo di linea per la posa del metanodotto SNAM Minerbio - Cortemaggiore nell’estate del 1995, in prossimità del picchetto n. 86 posto a poca distanza dai Torrenti Rovacchia e Siccomonte, a circa 1,5 Km. dall’insediamento etrusco di Case Nuove e a metà strada tra questo e l’area archeologica di Ca’ Pirlone, è stato individuato un livello archeologico contenente materiale ceramico risalente all’età del Ferro.
Oltre ad un paleosuolo, sfuggito per una ventina di metri a processi erosivi per la presenza, nella superficie topografica antica, di una leggera depressione orientata E-O, sono stati individuati i resti di una struttura a pareti svasate larga circa 6 metri e profonda poco più di un metro, colmata di terriccio franato dalle pareti e scarsi materiali archeologici.
Per quanto di difficile interpretazione, viste le caratteristiche idromorfe dei terreni di riempimento, è possibile che la struttura più che buca per trarne materiale argilloso vada intesa come traccia di un fossato di drenaggio.
Come in tutti gli altri accertamenti scientifici lungo lo stesso metanodotto la scrivente è stata assistita dalla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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2.2. Fidenza, loc. Ca’ il Pirlone

Durante lo scavo di linea per la posa del metanodotto SNAM Minerbio - Cortemaggiore nell’estate del 1995 su un vasto pianoro posto tra la linea ferroviaria Fidenza Salsomaggiore e la casa colonica "Il Pirlone" a circa tre chilometri di distanza dal sito di Case Nuove e ancora più spostato ad occidente rispetto a quest’ultimo è stata localizzata una fattoria di V a.C., ricostruita quasi nello stesso punto di una struttura analoga e precedente distrutta nel corso di un episodio alluvionale. Entrambe le fattorie risultano costituite fondamentalmente da una capanna ovale seminterrata e da alcune fosse di scarico. Una ricerca mirata realizzata l’anno successivo con metodologie geofisiche, elettriche e magnetiche, volta a stabilire se nel pianoro si trova un intero villaggio come nel caso di Case Nuove, ha dato risultati negativi , ma nonostante le difficoltà oggettive presentate dalla natura dal terreno, ricco di materiale pietroso di origine ofiolitica, ha portato al riconoscimento, nei pressi delle strutture abitative, di due telai verticali esterni ad esse.
Le ricerche coordinate dalla scrivente sono state realizzata dalla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia e dalla ditta Geoinvest di Piacenza.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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2.3. Fidenza, loc. Case Nuove di Siccomonte

Sono proseguiti anche nel triennio 1994-1996 i lavori di scavo nel villaggio etrusco venuto in luce nel 1990 a seguito dei lavori dell'Aeronautica Militare per la posa di infrastrutture del ministero della Difesa.
L'esplorazione si è concentrata in una parte del pianoro, compreso tra il Rio Siccomonte, la collina del Monfestone e la strada provinciale Salsomaggiore-Tabiano, dove una campagna di prospezioni geofisiche, condotte con metodologie magnetiche, preliminarmente agli scavi, aveva evidenziato un'area particolare, di forma grosso modo quadrilatera, caratterizzata da anomalie molto più forti e concentrate rispetto a l le altre, pur numerosissime e distribuite sul pianoro per un’estensione di oltre 11 ettari.
Lo scavo, per quanto non esauriente ha consentito di riportare in luce, in un’area concentrata, numerosissime buche, larghe poco più di una trentina di centimetri e poco profonde, tra loro collegate due a due in cui si possono riconoscere focolare e punto di fusione secondo un procedimento documentato dall’archeologia sperimentale. Un’altra struttura, di forma ovaleggiante e maggiori dimensioni, che conserva sul fondo tracce di concotto e risulta riparata da una tettoia straminea, sembra occupare una posizione centrale rispetto alle precedenti.
Tra gli abbondanti materiali raccolti figurano grandi vasi di ceramica grezza dotati di beccucci - versatoi, scorie di fusione e una quantità impressionante di lingottini metallici di ogni forna e dimensione che, talvolta, conservano la forma del crogiolo.
Le analisi avviate dai dott. Livio Follo ed Elena Antonacci su questa particolare classe di reperti, benchè solo agli inizi, stanno dando importanti risultati , in quanto hanno permesso di enucleare nei reperti di bronzo tre diversi tipi di lega caratterizzati da alte percentuali rispettivamente di ferro, rame e piombo.
Tutta la zona, caratterizzata da anomalie magnetiche assai forti, è pertanto presumibile fosse interessata da attività produttive legate alla lavorazione dei metalli.
Lo scavo ha inoltre permesso di documentare che le buche, man mano che divenivano inutilizzabili, erano colmate con materiali di scarico.
In un’epoca successiva, da porsi con ogni probabilità in un momento avanzato del V secolo, almeno nella porzione di area investigata, sembrano esser state abbandonate le attività fusorie e il terreno, ricco di carboni, concotto e costipato di frammenti ceramici, cominciò ad essere coltivato. A questa fase si possono , infatti, far risalire tutta una serie di canalizzazioni con andamento sud-est/nord-ovest, realizzate a scopo di drenaggio e forse irrigazione , scolanti nel grande fossato artificiale, che attraversava in tutta la sua lunghezza l'insediamento.
I primi risultati conseguiti dopo l’avvio di studi sistematici sulle varie classi di materiali, pur suscettibili di modifiche e ulteriori precisazioni, consentono di datare l’insediamento tra gli inizi del VI sec. a. C. e gli inizi del IV e confermano il suo inserimento tra gli abitati dell’Etruria Padana, anche se data la sua posizione geografica, non si può escludere si affiancassero ad una forte componente etrusca elementi liguri, provenienti dalle vicine montagne
Da un punto di vista culturale, infatti, anche se innegabili sono i rapporti con la civiltà atestina e quella golasecchiana e non sembrano mancare prodotti più propriamente locali i materiali dimostrano stretti contatti con l’Etruria tirrenica settentrionale e i territori profondamente etruschizzati del Reggiano e del Mantovano.
Anche se la vocazione agricola dell’insediamento, sorto in un pianoro fertile ai margini di un bosco misto di latifoglie caduche, in cui querce e carpini costituivano le specie arboree predominanti, ma non mancavano neppure faggi a testimoniare un clima più freddo dell’attuale, è ampiamente dimostrata oltre che dai reperti floro-faunistici (bovini, suini e caprovini), non mancano indizi di altre attività prima tra tutte, come si è visto, quelle metallurgiche, ma anche produzioni ceramiche e tessitura e filatura.
La presenza , infine, di materiali d’importazione quali ceramica greca, anfore greche da vino e da olio, bronzi golasecchiani e almeno un pane di aes signatum, oltre che indizio di una certa vocazione commerciale costituisce,poi, una chiara conferma dell’esistenza di direttrici di traffico che puntavano verso l’interno staccandosi da quelli che dovevano essere gli assi portanti di tutto il sistema, vale a dire il Po e la via pedemontana poi ripercorsa dall’Aemilia.
Nel caso specifico un elemento di attrazione per gli Etruschi , ma anche per altre popolazioni, può esser stata la necessità di garantirsi il sale di cui tutta la zona è particolarmente ricca. L’esplorazione è stata diretta dalla scrivente e finanziata interamente con fondi ministeriali, e vi hanno partecipato studenti dell’Università di Bologna (dott. Nicoletta Dondi, dott. Tiziana Ravasio, Ilaria Cerioli ) e di Parma (Stefano Borlenghi).
In questi anni sono stati avviati studi sistematici sulle varie classi di materiali. Delle analisi archeometriche sui reperti metallici s’è già detto. Lo studio dei materiali, di concerto col prof. Giuseppe Sassatelli, titolare della cattedra di Etruscologia dell’Università degli Studi di Bologna, è divenuto oggetto di alcune tesi di laurea o di specializzazione. I reperti faunistici sono in corso di studio da parte della dott. Patrizia Farello della Soprintendenza Archeologica, mentre i reperti floristici sono stati analizzati dalla prof. Giovanna Marziani Longo, assieme al prof. Alessandro Iannone e la dott. Cristina Tazzi, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Milano.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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2.4. Parma, loc. Gaione

I lavori di rimozione del suolo agricolo in corrispondenza del tracciato del metanodotto SNAM Minerbio - Cortemaggiore a Gaione, a circa m.150 a Ovest della Strada Provinciale Montanara, hanno messo in luce una piccola fornace per ceramiche. La struttura del tipo a pipa con camera di combustione circolare di m. 0,70 di diametro e prefurnio rettilineo di m. 0,90, era riempito di argilla rubefatta e frammenti ceramici databili alla piena età del Ferro.
Come in tutti gli altri accertamenti scientifici lungo lo stesso metanodotto la scrivente è stata assistita dalla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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Provincia di Reggio Emilia

2.5. San Polo d’Enza, loc. Pontenovo

Dal momento che indagini archeologiche, condotte preliminarmente ai lavori per una nuova lottizzazione artigianale ai margini del paese di S. Polo, avevano rivelato la presenza di una complessa stratificazione comprendente più livelli insediativi, la Soprintendenza ai Beni Archeologici, ha proceduto nel corso del 1995, grazie a finanziamenti sia ministeriali che privati all’esplorazione sistematica di due lotti di terreno di imminente edificazione.
I lavori di scavo hanno portato all’individuazione di numerose strutture pertinenti ad un insediamento protostorico coevo a quello rinvenuto nel secolo scorso a pochi km di distanza in loc. S. Polo Servirola.
Dette strutture, interpretabili come fosse di scarico, canalizzazioni e resti di capanne si trovano a m. -365 dall’attuale piano di campagna e risultano sigillate da uno spesso strato di terreno giallo sabbioso di origine alluvionale in cui sono tagliate strutture abitative e tombe d’epoca longobarda e a loro volta risultano sovrapposte a un livello insediativo precedente (cfr. schede relative in questo stesso volume).
Tra i materiali recuperati , riferibili, almeno in via preliminare al V sec. a.C., figurano numerosi frammenti di ceramica etrusco-padana. Lo scavo diretto dalla scrivente, si è avvalso dell’assistenza della Cooperativa AR/s Archeosistemi di Reggio Emilia.

Manuela Catarsi Dall’Aglio

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2.6. Campegine, Via Aldo Moro

A seguito dei risultati di indagini di tipo geofisico condotte dalla Ditta Geoinvest s.n.c. di Piacenza con metodologie magnetica ed elettrica, preliminarmente ai lavori per una nuova lottizzazione in un terreno di proprietà dell’ "Immobiliare Campegine", che avevano individuato numerose anomalie relazionabili alla presenza di strutture archeologiche sepolte, si è proceduto nel corso del 1994 all’esplorazione scientifica dell’area, i lavori di scavo archeologico hanno interessato un terreno di circa 25.000 mq., posto lungo Via A.Moro a ridosso del canale Vecchio nei pressi dell’incrocio tra le Vie provenienti da Tanneto e dalla Razza.
L’esplorazione, ha consentito di appurare che buona parte dell’area appena al di sotto del terreno agricolo dello spessore di circa 60 cm., conservava i resti di strutture antiche di epoche diverse. Mentre per quanto attiene ai ritrovamenti d’epoca romana e postantica si rimanda alle schede relative in questo stesso volume, per quanto riguarda l’epoca preromana sono state riconosciute due canalette di drenaggio con orientamento N-S e alcune fosse, tra cui una trilobata e due ovali di circa m.2 X 1 di ampiezza, contenenti terreno fortemente organico, resti carboniosi e frammenti ceramici dell’età del Ferro. Gli scavi sono stati interamente finanziati dai fratelli Mainolfi, proprietari dell’immobile, e affidati alla Cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia, che ha operato sotto la guida della dott. Anna Losi e la direzione scientifica della scrivente.

Manuela Catarsi Dall'Aglio

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Provincia di Modena

2.7. S. Damaso, via Scartazza, cave SEL

Nell’ambito del progetto della Carta Archeologica della provincia di Modena, coordinato dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna e dal Museo Archeologico Etnologico di Modena sono stati attivati alcuni interventi di controllo archeologico preventivo. Tra questi si segnala l’intervento intrapreso nell’area della cava SEL in località S. Damaso (MO), soggetta ad escavazione di argilla fino alla profondità di m 10.
L’area della cava era già stata interessata da un intervento di scavo effettuato nel 1986, che aveva permesso il rinvenimento di scarichi di fornace del III-II sec. a.C., di una strada romana e di un canale di età etrusca (Giordani 1988, Labate 1988).
Nel giugno 1996 ha preso inizio l'intervento di indagine preliminare, che attualmente ha coperto una superficie di circa 1,7 ettari su un totale di 6 ettari. Il metodo di intervento è costituito dall'asportazione controllata dello strato arativo fino allo strato alluvionale sottostante ove è possibile il riconoscimento delle strutture archeologiche, che vengono in seguito esplorate e documentate con indagini più approfondite.
I dati qui presentati sono ancora preliminari, ma degni di nota per le caratteristiche di alcune strutture individuate (durante le fasi di controllo) relative alla residua evidenza di una paleoidrografia in parte naturale, in parte artificiale, profondamente intaccata dalle arature.
Sono state individuate, inoltre, altre strutture di carattere antropico, tra cui alcuni pozzetti, fosse con scarichi di materiali e residui di focolari.
I materiali, nella maggior parte dei casi sono scarsi, ma abbastanza significativi e determinanti per l'attribuzione cronologica delle diverse strutture.
Le evidenze della paleoidrografia naturale e artificiale consistono in due canali di origine naturale -di cui solo uno con alcuni materiali che permettono una attribuzione cronologica- e in quattro canalette a scopo irriguo databili all’età etrusca o all’età romana.
Il canale naturale più meridionale (fig. 2, struttura 10) ha un profilo abbastanza svasato con letto sabbioso sterile che indica una discreta capacità di trasporto e chiuso da un tappo argilloso contenente rari reperti ceramici ; la profondità massima è, rispetto al piano di campagna, di circa 140 cm; il percorso è leggermente curvilineo e l’orientamento è totalmente differente rispetto al reticolo centuriale. Il materiale rinvenuto negli strati di riempimento permette di datare la chiusura del fossato alla tarda età romana ; nel riempimento sono presenti anche scarsi frammenti ceramici di età etrusca.
L'altro canale (fig. 2, struttura 4) oltre ad avere una profondità inferiore ed essere molto più svasato, è più difficilmente riconoscibile in pianta rispetto al precedente; ha un letto sabbioso meno marcato e discontinuo ed un percorso irregolare curvilineo con un orientamento anch'esso in netto contrasto con la centuriazione. Nella parte esplorata non sono stati individuati materiali archeologici e non è possibile pertanto ipotizzare alcuna attribuzione cronologica.
Delle quattro canalette artificiali prese in esame (e contenenti materiali di interesse archeologico) la struttura 7 è databile all’età romana in base ai materiali contenuti e all'orientamento (circa 22° E) corrispondente alla centuriazione di età romana, mentre le strutture 2 e 6-14 si distinguono nettamente dalla precedente in quanto contenenti materiali di età etrusca e aventi un orientamento diverso (circa 30° E) rispetto alla centuriazione. Non è possibile datare con precisione, per la scarsità dei materiali contenuti, la quarta canaletta (fig. 2, struttura 18), attribuibile genericamente ad un ampio periodo che dall'età etrusca giunge all'epoca romana. Il suo orientamento invece sembra essere simile a quello delle canalette 2 e 14.
Queste canalette hanno pareti generalmente abbastanza verticali, sono conservate fino ad una profondità massima di circa 50 cm e in un caso (struttura 18) solo fino a circa 10 cm; tutte le canalette hanno un riempimento principalmente argilloso.
Le altre strutture individuate sono :

struttura19: grande fossa di epoca romana a pianta circolare (diametro circa di 13 m) sezione molto svasata profonda 180 cm e "lastricata" sul fondo da frammenti ceramici, ciottoli e laterizi che occupano una area approssimativamente circolare con un diametro di circa 180 cm;
struttura 3: pozzetto a profilo inizialmente ampio e svasato, che dopo pochi centimetri diventa verticale, con una profondità massima di 115 cm. A circa 95 cm di profondità è stato rinvenuto uno strato di terreno arrossato dal fuoco, con concotto, sovrapposto ad un terreno limo-argilloso giallastro; all'interno di quest'ultimo, alla quota di 110 cm, sono stati ritrovati un frammento di piastra forata in terracotta grigia con tre fori disposti longitudinalmente sull'asse e una coppa a vernice nera, databile al IV-III sec.a.C.;
struttura15: fossa a sezione lenticolare profonda circa 16 cm, a pianta approssimativamente piriforme contenente abbondante ceramica di età etrusca (VI-V sec.a.C.) e presumibilmente interpretabile come scarico;
struttura 8: depressione o prosecuzione verso sud del canale 4 contenente materiali di età del ferro tra IV e III sec.a.C..

L’interesse principale del rinvenimento è costituito dalla presenza di canalette di età etrusca che sembrano appartenere ad una sistemazione agraria con assi ad orientamento ortogonale. Questa organizzazione del territorio attestata già nel VI-V sec.a.C. è testimoniata anche in altre località del modenese ed in particolare è molto simile alla situazione riscontrata a Tabina di Magreta (Formigine MO) (Cattani 1994). Un altro elemento di interesse è costituito dalla ipotetica continuità di vita nell’area tra età etrusca e prima colonizzazione romana, che testimonierebbe il perdurare delle forme di occupazione del territorio.
Le operazioni di controllo e documentazione sono state affidate alla cooperativa AR/S Archeosistemi di Reggio Emilia, sotto la direzione della dott.sa Nicoletta Giordani della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna.

Bibliografia

M. Cattani, Lo scavo di Tabina di Magreta (cave di via Tampellini) e le tracce di divisioni agrarie di età etrusca nel territorio di Modena, in Quaderni del Museo Archeologico Etnologico di Modena, Studi di Preistoria e Protostoria, 1 1994, pp. 171-205

Giordani N., S. Damaso (MO): un impianto agricolo - produttivo di età romana, in Muthina, Mutina, Modena. Modena dalle origini all'anno Mille. Studi di Archeologia e Storia I Modena 1988, pp. 496-512.

Labate D., Cava SEL: note topografiche, in Muthina, Mutina, Modena. Modena dalle origini all'anno Mille. Studi di Archeologia e Storia I Modena 1988, pp. 514-515.

Maurizio Cattani, Paolo Ferrari

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Provincia di Bologna

2.8. Bologna, Piazza Azzarita

In previsione della costruzione di un grande parcheggio sotterraneo e a seguito di un sistematico accordo tra la Soprintendenza Archeologica e il Comune di Bologna, tra il 1995 e il 1996 l'area di Piazza Azzarita prospiciente il Palazzo dell Sport è stata sottoposta ad una serie di sondaggi preventivi e quindi ad un integrale scavo archeologico.
Le indagini hanno interessato un'area di oltre 3.000 mq, consentendo di esplorare sistematicamente un interessante contesto insediativo antico precedentemente indiziato da alcuni rinvenimenti fortuiti di tombe villanoviane effettuati tra le vie Lame e Calori. I lavori hanno anticipato o affiancato in modo programmatico le opere del cantiere edilizio, a dimostrazione dell'opportunità di dar seguito a quelle procedure di tutela preventiva e di accertamento preliminare che da tempo la Soprintendenza Archeologica attua in occasione di importanti interventi costruttivi e infrastrutturali urbani e territoriali.
I resti archeologici, mediamente compresi tra i 2 e i 4 m di profondità, erano prevalentemente costituiti da strutture di tipo abitativo e sepolcrale databili tra l'VIII e il VI sec. a.C. In particolare il settore meridionale dell'area ha evidenziato numerose cavità associate a materiali di tipo villanoviano, interpretabili come residui di apprestamenti insediativi ed artigianali. Verso settentrione si estendeva invece parte di un più vasto sepolcreto a rito misto, con una sessantina di tombe di varia tipologia, dalle semplici inumazioni in fossa terragna o cassa lignea alle più ricche cremazioni in grandi fosse quadrangolari con rivestimenti o coperture in legno o ciottoli.
Di notevole interesse risultano sia l'osservazione di alcune particolarità nelle procedure di seppellimento sia i caratteri quantitativi e qualitativi dei corredi, di grande risalto soprattutto nelle tombe ad incinerazione. Oltre alle più consuete suppellettili fittili e metalliche, si segnala in proposito la presenza di alcuni esemplari di ceramica attica figurata della seconda metà del VI sec. a.C.
Tra il settore abitativo e quello cimiteriale erano presenti fossati e strutture che perimetravano l'area funeraria, costituendo al tempo stesso una probabile demarcazione dei limiti dell'agglomerato abitativo dell'età del ferro, che qui trovava il suo estremo margine settentrionale.
Importanti dati di ordine topografico sono scaturiti anche su epoche più recenti, con l'individuazione di alcuni fossati e canali che dall'età romana repubblicana alla rinascimentale attraversavano l'area da ponente a levante, dirigendosi verso la città dove dovevano assolvere importanti funzioni infrastrutturali. L’intervento di scavo è stato attuato con il sostegno della società concessionaria Bologna Parcheggi e condotto dagli operatori della ditta Tecne.

Jacopo Ortalli

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2.9. Marzabotto, Pian di Misano

Il programma di ricerca avviato nella città etrusca a partire dal 1994 è stato impostato con la funzione di una verifica conoscitiva del sistema urbanistico, finalizzata ad un progetto di miglioramento della fruizione e del percorso espositivo del parco archeologico.
Il lavoro è stato condotto nella prospettiva di una collaborazione sempre maggiore con gli altri soggetti interessati a questo territorio per motivi scientifici o per doveri di gestione; in particolare prosegue il rapporto con il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna, diretto dal prof. G. Sassatelli, che continua lo studio e lo scavo sistematico in regime di concessione nella regio IV, insula II; contestualmente sta curando l'edizione critica integrale degli scavi ottocenteschi e partecipa con la stessa Soprintendenza al coordinamento di attività divulgative e promozionali. In questo settore negli ultimi tempi si è affiancato l'interessamento del Comune di Marzabotto e della Provincia di Bologna, che sulla base di una convenzione stipulata con l'Ente di tutela stanno contribuendo in maniera concreta ad un programma di promozione e di informazione culturale.
La collaborazione con l'Ecole Française de Rome ha permesso di avviare inoltre un piano di prospezioni geofisiche, già attuato per le regiones I e, in parte, III, diretto dal prof. A. Kermovant dell'università di Tours, che ha fornito ottimi ed importanti risultati da discutere e verificare ancora in maniera adeguata (Verger, Kermovant 1996) che permettono comunque di cominciare a conoscere meglio l'area della città antica, in una visione complessiva che comprende anche le aree non ancora esplorate direttamente.
Le varie necessità operative hanno spesso richiesto la collaborazione della famiglia Aria-Aroni, storica patrocinatrice della riscoperta archeologica di Pian di Misano e già proprietaria della vasta area ceduta allo Stato, che ha sempre risposto con la cortese disponibilità cui è consueta e per la quale è opportuno un pubblico ringraziamento.
La gestione dei vari interventi di scavo e di manutenzione è stata resa possibile dalla partecipazione e dalla competenza del sig. Sergio Sani, al quale è demandata da tempo la responsabilità operativa nell'area archeologica e nel Museo. I lavori sono stati condotti dalle ditte "Germani" e "Archeosistemi" e le ricerche sul terreno sono state seguite dai dott. M. Forte (acropoli, 1995), A. Losi, con la collaborazione di S. Bellucci e R. Louta (acropoli, 1996-1997) e D. Locatelli (fonderia, 1996). Il progetto di ricerca archeometrica sui metalli e le analisi relative sono state affidati al dott. L. Follo (1995-1997) e la realizzazione di un rilevamento topografico, altimetrico e archeologico informatizzato all'arch. N. Masturzo (1997).

Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, edificio "E"

Le strutture emergenti dell'edificio "E" dopo lo scavo effettuato intorno alla metà del secolo (Vitali 1985) scorso presentavano forti condizioni di degrado, determinate sia dalla crescita della vegetazione spontanea, sia da un cedimento della parte muraria, prossima alla scarpata meridionale dell'acropoli, fenomeno accentuatosi in corrispondenza di due saggi archeologici praticati contro il lato sud delle fondazioni negli anni cinquanta di questo secolo. L'attenzione rivolta al monumento dipendeva anche dalla necessità di una verifica conoscitiva, al fine di comprenderne funzione e significato e studiarne l'inserimento più opportuno nel percorso di visita.
Alle prime operazioni di pulitura e di riduzione del sottobosco che aveva aggredito l'opera muraria è seguito un intervento di scavo effettuato in due campagne successive (1995-1996), che ha sortito risultati insperati; si è indagata una fascia perimetrale a nord delle strutture conservate e un'ampia area progressivamente estesa a meridione delle stesse, attuando contestualmente un'operazione di contenimento e di addolcimento del dislivello, che permettesse un ripristino statico delle strutture conservate in alzato ed una loro migliore visibilità.
L'interesse maggiore è stato destato dalla scoperta di nuovi settori delle fondazioni dell''edificio che ne permettono ora una ricostruzione planimetrica più completa. Come è noto, la stessa interpretazione delle murature sinora visibili era oggetto di gravi e numerose incertezze, determinate anche dalla collocazione in un'area di notevole dislivello altimetrico e dall'orientamento adottato, sensibilmente diverso da quello degli altri monumenti dell'area e divergente anche rispetto alla rete ortogonale dell'insediamento. L'edificio era stato scoperto durante i lavori di sistemazione della zona circostante la villa Aria, condotti tra gli anni trenta e cinquanta del secolo scorso, in parte certamente distrutto in quest'occasione ed in parte obliterato dalla sistemazione di una delle strade che agevolavano la percorribilità del parco all'inglese.
Nei lavori condotti è stata scoperta innanzitutto la trincea di espoliazione, riconoscibile stratigraficamente, della parte centrale del muro perimetrale orientale dell'edificio, di cui rimaneva visibile una breve parte di spiccato presso l'angolo nord-est; verso sud, oltre il ceppo di un albero di alto fusto conservato nell'humus, l'asportazione ottocentesca di questa fondazione aveva risparmiato i livelli inferiori e l'angolo sud-est, ancora ben conservato ad una quota molto più bassa rispetto alle altre strutture del lato settentrionale. Proseguendo l'esplorazione è emersa per 13 m circa anche la base della fondazione del muro meridionale, costruito, come il resto, con ciottoli di varia pezzature grandi blocchi informi di origine fluviale sistemati a secco in un banco di terreno argilloso. Il nuovo settore individuato presenta inoltre una leggera rotazione dall'asse est-ovest verso nord-est, sud-ovest, dovuta ad un movimento franoso della pendice collinare che evidentemente è interessata da uno slittamento in atto in questa direzione.
Sulla base dei nuovi rinvenimenti la planimetria ricostruibile, di cui ora mancano elementi solo per il lato occidentale, asportato completamente nei lavori di costruzione di un altro percorso del parco, restituisce un edificio rettangolare che veniva a costituire un terrazzo artificiale sopraelevato, emergendo in un vero e proprio podio. All'interno di questo perimetro, contro il muro di fondo, era sistemata una struttura quadrangolare di cui restano anche parti dei lati est ed ovest, quest'ultimo lungo circa 9 m all'epoca delle esplorazioni del Gozzadini ed ora molto meno conservato. Tale elemento planimetrico interno, con fondazioni poste più in alto di quelle dei muri perimetrali del podio terrazzato, può essere riconosciuto in una cella quadrangolare; è probabile che fosse accessibile dal lato sud dal peribolo perimetrale, come gli altri edifici templari dell'acropoli, mentre il raggiungimento della terrazza del podio probabilmente doveva avvenire da est. In questo modo si può ricostruire una tipologia planimetrica di destinazione sacra già attestata in ambiente etrusco con diverse realizzazioni, come per esempio nel tempio di Poggio Casetta a Bolsena.
Scarsi sono gli elementi pertinenti alle parti alte della struttura, forse realizzate in materiale deperibile (craticium ?) al di sopra della zoccolatura in pietra; un frammento di antefissa dipinta a palmetta, tipo attestato anche negli scavi ottocenteschi, non fornisce una documentazione sufficiente e non presenta caratteristiche contestuali di attribuzione del tutto sicure. I pochissimi materiali ceramici di impasto rinvenuti negli strati tagliati dalla realizzazione del monumento inducono a ritenere che la costruzione possa essere stata effettuata ancora entro lo scorcio del VI sec. a.C.

Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, plateia "B"

Lo scavo dell'edificio "E" e la scoperta del suo lato meridionale hanno riproposto il problema della fruibilità dell'area archeologica, anche in funzione del recupero di un rapporto tra acropoli e abitato, e della comprensione del carattere delle deroghe al rigido sistema urbanistico adottato nella costruzione della città ortogonale. La scarsa conoscenza della conformazione antica di questo quartiere e dei sistemi di accesso all'acropoli rende particolarmente difficile la progettazione di un percorso di visita che permetta di restituire i lineamenti essenziali della frequentazione antica.
Sulla base di queste istanze si è deciso di indagare anche la parte immediatamente a meridione della fronte sud dell'edificio "E", mettendo in luce il banco di terra argillosa naturale, con le tracce degli interventi ottocenteschi effettuati per l'asportazione dei materiali da costruzione, avviati su uno scivolo e trascinati sul pendio con l'ausilio di un paletto di cui si è ritrovata la traccia in negativo. Lo scavo è proseguito più in basso con una profonda trincea per verificare l'esistenza di opere di protezione muraria dell'altura dell'acropoli e l'esistenza della plateia B sino a quest'estremità occidentale dell'impianto urbano. Nel primo caso le aspettative sono state frustrate dalla grave manomissione ottocentesca dovuta alla costruzione di un fognolo di scarico della strada che lambiva il limite sud della collina, mentre nel secondo hanno avuto un esito positivo, in quanto è stato rintracciato il piano stradale, affiorante a notevole profondità, con un dislivello complessivo di circa 11 m rispetto alla fondazione settentrionale dello stesso edificio "E".
E' parso evidente, quindi, che in questo settore la strada non forniva alcuna possibilità di accesso all'acropoli e che era dominata dalla mole sovrastante dell'edificio monumentale; che la sua larghezza di m 15 si manteneva esattamente fino al punto indagato, dove sembra che subisse un'interruzione o un restringimento, almeno nella sua porzione settentrionale; che infine era necessario un elemento di difesa del dislivello naturale, non individuato, ma che potrebbe essere attestato nelle notizie di scavo ottocentesche, che segnalano in questa zona il ritrovamento di un setto murario di 3 m di larghezza.
Al limite meridionale della sede stradale è stata ritrovata inoltre la traccia stratigrafica dello scavo di una delle tombe celtiche che si addensano in questa zona e sono tuttora segnalate in superfice da una serie di cippi, in parte forse manomessi rispetto alla loro collocazione topografica; sembra probabile, quindi, che il sepolcreto si sviluppasse sul bordo del percorso viario, forse in alcuni punti invadendone il marciapiede, ma sostanzialmente forse rispettandone la sede carrabile, in una zona che sembra immediatamente prossima alla fine o alla modificazione suburbana dello stesso percorso stradale.

Marzabotto, Pian di Misano - acropoli, edificio "Y"

Uno dei settori meno noti dell'acropoli è costituito dall'area a nord dell'edificio E, caratterizzata da un innalzamento di quota sensibile che viene a costituire il punto più alto dell'intera zona; l'interesse archeologico era già stato verificato negli scavi ottocenteschi, quando era stata individuata una struttura in calcare spugnoso, a quanto pare scoperta solo per un breve tratto e utilizzata come cava di materiale litico da reimpiegare nella villa Aria e nei restauri degli altri monumenti dell'acropoli. Una volta reinterrata, se ne era persa quasi completamente ogni documentazione e memoria, lasciando in sospeso il problema della sua interpretazione.
Nel programma di recupero conoscitivo dell'acropoli, quindi, era fondamentale effettuare una verifica archeologica anche in quest'area, che è stata oggetto di uno scavo sistematico; al di sotto dell'humus superficiale di circa 40/50 cm, sono apparsi i resti di un rustico belvedere pertinente alla sistemazione del parco ottocentesco, consistenti in una ringhiera semicircolare prospettante verso sud-ovest, originariamente in paletti di legno di cui sono stati individuati alcuni resti, il foro di inserimento nel terreno ed il rincalzo in mattoni di recupero. Al di sotto si sono scavati strati di rialzamento della quota di calpestio naturale, realizzati con terreno di riporto, che hanno mostrato come il piano di campagna attuale fosse in gran parte di formazione artificiale e finalizzato appunto alla creazione del belvedere, basandosi su un'altura originariamente molto più modesta.
I livelli stratigrafici precedenti agli interventi ottocenteschi si sono rintracciati ad 1.50 m ca al di sotto del piano di campagna, consistenti in un banco di terreno giallastro argilloso in alcuni punti con affioramenti di ghiaie ; a questa quota è stata subito riconosciuta un'unità stratigrafica negativa, ben presto rivelatasi come parte degli scavi di espoliazione ottocenteschi. All'interno di questa trincea, con un andamento non completamente regolare e con estensioni verso nord dovute anche alla creazione di uno scivolo per l'asportazione del materiale da reimpiegare, è stata individuata la struttura muraria antica, consistente in un muro di circa 13 m di lunghezza nella parte scavata, con ammorsamenti costruiti e collegati che si addentrano verso sud per 1,50 m circa, inserendosi in un terrapieno antico, artificiale, consistente in livelli di terreno argilloso grigiastro alternati a sottili strati di calcare sbriciolato, realizzati di pari passo con la messa in opera delle assise della muratura.
Questa presenta una fondazione in ciottoli di m 1,30 di profondità, scavata nel banco naturale della collina, su cui si imposta un alzato in opera quadrata, con blocchi di calcare spugnoso di ca. 0,30 m di altezza, accostati a formare con la loro lunghezza, circa 1 m, lo spessore del muro. Questo viene ad addossarsi e a sostenere il terrapieno a sud, cui si è fatto riferimento, rimanendo visibile solo sulla sua facciavista settentrionale, quella più curata.
Lo scavo non è ancora terminato, ma dagli elementi finora recuperati è evidente, quindi, che si tratta di un terrazzamento monumentale della pendice nord-ovest dell'acropoli che determina un dislivello di almeno 2 m sostenuto dall'opera quadrata, per un numero complessivo di almeno 6/7 filari (di cui 4 ancora in situ nel punto più conservato). E' probabile che questa struttura potesse essere la zoccolatura di una parte più alta in terreno argilloso compattato e armato in legno, lo stesso materiale che sembra aver obliterato in seguito la monumentale sostruzione. La funzione può essere stata duplice, in quanto utile alla creazione di un terrazzo verso sud, ma sfruttabile anche come elemento difensivo perimetrale dell'acropoli; solo il prosieguo delle ricerche in questo ed in altri settori della città antica potrà chiarire l'impegno della comunità etrusca di Marzabotto nella realizzazione di un sistema murario con funzioni strategiche.
Per quanto riguarda la cronologia, sembra che la sistemazione rinvenuta, frutto di un unico intervento costruttivo, debba essere posta nel V sec. a.C., forse entro la prima metà dello stesso, ma solo il completamento della ricerca sui materiali ceramici rinvenuti nel terrapieno potrà confernare l'ipotesi sinora avanzata.

Enzo Lippolis

Marzabotto, Pian di Misano - città bassa, interventi diversi

Nel resto dell'insediamento sono stati effettuati pochi interventi di limitata estensione.
Nella regio I, insula 5, in seguito alle prospezioni geo-fisiche condotte da A. Kermovant che hanno suggerito a S. Verger la possibilità di identificare una nuova struttura templare all'incrocio nord-est tra le plateiai A e B (Verger, Kermovant 1996), nel 1994 in un programma di ricerca congiunta tra Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, Ecole Française de Rome e Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna, sono stati effettuati alcuni sondaggi. Questi hanno confermato la corrispondenza delle anomalie rilevate strumentalmente con fondazioni murarie sepolte e hanno mostrato l'esistenza di un estensivo riporto di terreno argilloso finalizzato al rialzamento e al livellamento dell'area. Su questa base nei prossimi anni si verificherà la possibilità di una collaborazione per l'indagine su questo settore, che comincia a rivelare un particolare interesse urbanistico, al fine di accertare la destinazione del quartiere ed in particolare dell'edificio la cui esistenza è stata ipotizzata.

Jacopo Ortalli

Nella regio V, insula 5, è stato riaperto lo scavo della cd. fonderia, al fine di integrare il riesame del materiale e dei problemi del vecchio scavo in occasione del lavoro di dottorato di ricerca di D. Locatelli, intervento di cui è già apparsa più ampia segnalazione in questa stessa rivista (Locatelli 1997).
Nella regio V, sul ciglio meridionale verso il Reno, il dilavamento prodotto dalle acque meteoriche aveva messo in luce in sezione la traccia dei livelli incassati di frequentazione di una probabile capanna anteriore all'organizzazione urbana dell'insediamento. Considerando le particolari condizioni di giacitura e la necessità di includere lo scavo di questo rinvenimento in un'esplorazione più ampia e sistematica, si è proceduto per il momento alla ricopertura del pendio esposto e ad una sua armatura provvisoria con una barriera lignea interrata.
Nella necropoli orientale, infine, è stato condotto un intervento di ripulitura e restauro dei sepolcri a cassa litica, con risarciture funzionali al ripristino della sistemazione ottocentesca dell'area monumentale.

Bibliografia

Locatelli 1997: D. Locatelli, Nuove ricerche sulla fonderia di Marzabotto (Regio V, insula 5), in Archeologia dell'Emilia Romagna, 1997 I, 1, pp. 53-62.

Verger, Kermovant 1996: S. Verger, A. Kermovant,

Vitali 1985: D. Vitali. 4.10 L'acropoli di Marzabotto, in Santuari di Etruria, a cura di G. Colonna, Milano 1985, pp. 88-92.

Enzo Lippolis

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2.10. Marzabotto, Regio IV, insula 2.

Gli scavi del Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi di Bologna nella città etrusca di Marzabotto che si sono susseguiti tra il 1993 e il 1996 all’interno della casa di testa dell’Isolato 2 della Regione IV hanno avuto come obiettivo principale l’esplorazione del settore meridionale di questo edificio, oggetto di indagini a partire dal 1988.
Durante i primi cinque anni di scavo era stata messa in luce la porzione nord-orientale della casa, caratterizzata da un corridoio d’ingresso (fig. 1, H), affacciato, a N, sulla plateia B e collegato, alla sua estremità meridionale, con un’area cortilizia glareata di forma rettangolare; da due vani lunghi e stretti (fig. 1, A e I), addossati al muro perimetrale nord dell’edificio e probabilmente aperti verso la strada; da altri sei ambienti (fig. 1, B, C, D, E, F, G), di forma e dimensioni diverse, disposti lungo il suo limite orientale e infine, da due zone, poste rispettivamente a N e a S del cortile, destinate ad un’intensa attività artigianale, legata alla produzione ceramica. Nell’area a settentrione del cortile erano state infatti riportate alla luce due vasche di tegole, utilizzate per la lavorazione dell’argilla, insieme ad alcuni invasi relativi a fornaci smantellate in antico, mentre nel settore posto a sud dell’area cortilizia erano stati individuati i resti ben conservati di due fornaci a pianta rettangolare e un grande invaso quadrangolare, forse destinato alla raccolta dell’acqua piovana. Di tutte queste strutture è già stato dato ampio ragguaglio in una precedente nota.
Nei mesi di giugno e luglio del 1993 lo scavo ha interessato sia l’area centro-occidentale dell’edificio, sia la sua estremità N-O, fino al limite costituito dal taglio per la costruzione della strada statale Porrettana.
Nel primo settore, immediatamente a nord del vano O, sono stati individuati quattro invasi intersecantisi, relativi ad alcune fornaci realizzate in momenti successivi (fig. 2). La prima struttura, di forma rettangolare e allungata in senso E-O, era stata originariamente utilizzata come fornace, poi, in seguito allo smantellamento dei suoi apprestamenti interni, era stata convertita in buca di preparazione del combustibile destinato all’alimentazione di un nuovo forno, costruito più ad ovest, sullo stesso allineamento del precedente. Del secondo forno, a pianta ovale, rimanevano sia la camera di combustione, ancora parzialmente rivestita da lastre di argilla concotta, sia l’imboccatura, rinforzata da un grande orlo di dolio. Un gruppo di strutture recenziore, disposto in direzione N-S, si era quindi sovrapposto alle prime, tagliando l’estremità O dell’invaso più occidentale. Esso comprendeva, a nord, una piccola fornace a pianta circolare con imboccatura rettangolare e, poco più a sud, una buca piriforme, che costituiva molto probabilmente il prefurnio della precedente.
Nell’estremo settore N-O della casa è stata invece rinvenuta una terza vasca di tegole, del tutto simile alle due scoperte negli anni 1990-91 e da esse topograficamente poco distante.
Nel 1994 si è proceduto all’ampliamento dello scavo verso S, con lo scopo di verificare l’eventuale continuazione, in direzione ovest, del grosso muro portante individuato nelle scorse campagne di scavo e interpretato come limite meridionale della Casa 1. La completa esplorazione della parte sud-occidentale dell’edificio ha permesso tuttavia di constatare come tale muro si interrompa dopo circa 17 m e pieghi ad angolo retto verso S, dando luogo ad un ampio spazio rettangolare, occupato dai vani O e P, entrambi privi di una struttura muraria di chiusura sul lato meridionale. E’ perciò probabile che questi due ambienti costituissero una vasta area aperta, pressoché priva di strutture interne, frutto di una risistemazione dell’intero settore S-O dell’edificio, in funzione delle esigenze dettate dalle attività produttive che si svolgevano al suo interno. I particolari caratteri planimetrici di questa zona sembrano quindi ulteriormente accentuare la destinazione artigianale della Casa 1, già del resto evidenziata dai precedenti ritrovamenti, a scapito della sua funzione residenziale.
Nello stesso anno sono stati anche interamente esplorati i quattro vani indicati in pianta con le lettere T, U, V e Z (fig. 1), tutti delimitati a N dal muro sopra descritto. La loro particolare conformazione non permette di escludere l’ipotesi che si tratti di ambienti già appartenenti all’edificio adiacente, verso S, alla nostra casa.
Le campagne di scavo del 1995 e del 1996 hanno concentrato l’attenzione soprattutto sull’indagine dello stenopos occidentale dell’isolato. La massicciata stradale, messa in luce per un tratto di circa 6,50 m di lunghezza in senso N-S e per tutta la sua larghezza (5 m), presentava una superficie in leggera pendenza da S verso N e da O verso E. Ai lati era costituita da ciottoli di piccole dimensioni, disposti in modo uniforme, mentre al centro la ghiaiatura era sostituita da una sorta di spina di rinforzo, composta da diversi allineamenti molto compatti di ciottoli di grandi e medie dimensioni, atta forse a conferire al piancito un andamento convesso. Lungo il lato orientale della massicciata è stata anche individuata una canaletta di scolo delle acque, costruita contemporaneamente alla strada, mediante il posizionamento di una fila di grossi ciottoli a circa 30 cm dal muro perimetrale della casa. E’ inoltre apparso chiaro come la massicciata fosse stata alloggiata al di sopra di uno strato piano di terreno di preparazione, steso per rendere uniformi gli avvallamenti del sottostante terreno vergine.
L’ulteriore ampliamento dello scavo verso S, ha infine portato alla scoperta di due enormi buche ovoidali, l’una consecutiva all’altra in senso est-ovest, da mettere probabilmente in relazione con le attività artigianali sopra menzionate.
Contemporaneamente al procedere degli scavi è inoltre proseguito lo studio dettagliato dei numerosi materiali finora rinvenuti, oggetto di molte tesi di laurea che hanno preso in esame l’intera zona a tutt’oggi esplorata.
Tra i ritrovamenti più significativi meritano una particolare menzione due nuove iscrizioni di possesso, entrambe incise su ceramica di produzione locale e recanti un gentilizio, una delle quali, di prossima pubblicazione, riveste una particolare importanza per la comprensione dei rapporti commerciali tra l’Etruria tirrenica e il comparto transappenninico.

Marinella Marchesi

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Provincia di Forlì

2.11. Savignano sul Rubicone, loc. S. Giovanni in Compito, Via Montilgallo

In località S. Giovanni in Compito, presso Savignano sul Rubicone (Fo), non si era mai avuta l’opportunità di effettuare scavi sistematici nonostante i numerosi rinvenimenti archeologici avvenuti nella zona, considerata, tra l’altro, sede di una mansio romana. Assume quindi rilevanza l’indagine effettuata tra l’estate e l’autunno 1995, sui lotti di proprietà Teodorani (fig. 1). Con tale intervento si è però potuta scavare soltanto una parte dei resti archeologici individuati; può comunque affermare che l’area presenta una cospicua e lunga frequentazione, con testimonianze che vanno dall’età del ferro a quella bizantina.
Le prime tracce antropiche individuate risalgono all’età del ferro e testimoniano la presenza di un’area produttiva costituita da dieci fornaci per ceramica (tre per ora quelle scavate), con camera di combustione circolare e prefurnio (vedi fig. 3), a cui sembrano collegarsi buche per l’alloggiamento di pali e due canalette strutturali, elementi che paiono indicare una complessa organizzazione di quest’area artigianale. Ai margini dei lotti indagati, due cavità di forma sub-ellittica sembrano riferibili a fondi di strutture insediative.
Notevoli sono i resti di età romana, momento in cui l’area si configura come un crocevia: una strada inghiaiata che andava a confluire ad angolo acuto nella via Emilia, edificazioni in prossimità di essa ed una necropoli afferente alla più grande arteria. La strada glareata, di epoca repubblicana, conservatasi per ca. m 60, è composta prevalentemente da ciottoli di piccole e medie dimensioni, su cui si notano profondi solchi carrai ed interventi di ripristino; ai lati le canalette di scolo hanno una larghezza di ca. m 1.30. Resti di una fondazione in frammenti di tegole con pezzame laterizio ed argilla tra le alette corrono parallelamente alla canaletta posta a nord. Gran parte di questa fondazione risulta spoliata, ma il suo tracciato si segue lungo quasi tutto l’asse viario. Altre fasi edilizie sono testimoniate da fondazioni, in frammenti laterizi e in ciottoli, aventi una diversa orientazione.
Il sepolcreto di età romana, solo parzialmente scavato, presenta in prossimità della via Emilia un addensamento ed un disporsi in modo organico e regolare delle tombe: si tratta di incinerazioni (dodici sono quelle individuate, soltanto due quelle scavate) con combustione, almeno parziale, in fossa, riferibili all’età repubblicana e protoimperiale. Di età imperiale sono, invece, le ventuno sepolture ad inumazione scavate (una decina deve essere ancora indagata); tale rito è testimoniato da differenti tipologie tombali: fossa semplice, cassa lignea, cappuccina, anfora per gli infanti.Non tutte presentano il corredo funebre, ma alcune hanno restituito oggetti di un certo pregio.
Soltanto una piccola fornace per ceramica è per il momento riferibile con certezza all’età bizantina: ha forma circolare con un breve prefurnio. Al suo interno sono stati rinvenuti frammenti ceramici con tracce di invetriatura.
Molte sono le evidenze archeologiche ancora da scavare; tra queste vari fossati, buche strutturali ed una vasta cavità, probabilmente effettuata per l’estrazione di argilla in età protostorica. Lo scavo si rende ancor più necessario per una più corretta datazione di tali evidenze, in quanto le arature moderne hanno asportato i piani di frequentazione, portando alla stessa quota altimetrica unità stratigrafiche risalenti ad età cronologicamente lontane tra loro.
In ogni modo, seppure parzialmente intaccati dalle arature moderne e da recenti lavori edili, i resti archeologici conservati al Compito sono di notevole interesse dato che sottolineano la consistente frequentazione della zona nell’età del ferro, ma soprattutto sembrano confermare che l’area era, in età romana, una zona di passaggio e di sosta (mansio), collegata quindi alla viabilità e ai mercati. L’indagine archeologica è stata effettuata dalla società Tecne s.r.l. sotto la direzione scientifica di Maria Grazia Maioli.

Antonella Cennerazzo

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Per informazioni o suggerimenti: Tiziano Ceconi.
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Aggiornato il 06/10/06.