Pubblichiamo una sintesi dell'intervento di Filippo Maria
Gambari, Soprintendente per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna.
La conferenza (inizialmente prevista per la Notte dei Musei 2012,
sospesa a causa del brutale attentato di Brindisi) si è poi tenuta al Museo
Nazionale Etrusco di Marzabotto il 23 giugno 2013
Perché, con effetto dal 1 agosto 1882, il Comune di Caprara sopra Panico, dopo ripetute richieste, cambia con Regio Decreto 2/7/1882 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno mercoledì 9 agosto) il suo nome in Marzabotto? Perché abbandona una toponomastica storica, eponima di due delle più nobili famiglie bolognesi (i Caprara ed i Conti di Panico) per assumere un nome singolare, di cui forse non erano esattamente chiare tutte le accezioni? E’ una storia appassionante che vale la pena ripercorrere, restituendo all’archivio storico di Marzabotto, distrutto durante i tragici episodi della guerra, queste pagine di storia.
La località ai piedi a Villa Aria, Misano, era detta dialettalmente anche "Marzabott", con poche varianti probabilmente al plurale, italianizzata nelle prime carte topografiche pontificie in Marzabotto, al singolare. Questo toponimo non compare nella cartografia settecentesca finora nota (come quella di Gaetano Rampini) dove è presente il solo Misano, ma è ormai il nome della tenuta del Conte Giuseppe Aria nell’atto formale di acquisto della proprietà (messa all’asta dopo la morte del marchese Guido Antonio Barbazza) il 16 aprile 1840. In realtà Giuseppe Aria aveva la disponibilità di fatto della tenuta dal 1 novembre 1832 e già da allora aveva avviato i primi dilettanteschi scavi alla ricerca di oggetti antichi, di cui era collezionista. Dal 1850, su incarico dello stesso Aria, gli scavi sono affidati a Giovanni Gozzadini, che cura una prima pubblicazione nel 1865, Di un’antica Necropoli a Marzabotto nel Bolognese, in cui, avendo riconosciuto le tombe ma non la città, interpreta tutto come un enorme sepolcreto. Il 5 ottobre 1871 gli scavi assurgono a gloria internazionale con la visita ufficiale dei congressisti del V Congresso Internazionale di Archeologia Preistorica, tenuto per la prima volta in Italia e ospitato a Bologna anche e proprio per la fama degli scavi del Gozzadini a Villanova e a Marzabotto. Proprio per il prestigio nazionale e internazionale di quella che sempre più emerge non solo come una necropoli ma come un’articolata città etrusca, con i suoi spazi religiosi e sepolcrali (nonostante l’ostinata contrarietà scientifica del Gozzadini), il Consiglio Comunale decide di lasciare definitivamente la denominazione precedente, poco originale, di sapore feudale e con assonanze poco auliche (“caprara” era utilizzato nel linguaggio comune anche in senso spregiativo e “pànico” non è certo un termine glorioso in periodi di celebrazione nazionalistica e guerresca), chiedendo, con un consistente e lungo dibattito culminato nella deliberazione del Consiglio Comunale del 28 marzo 1882, di assumere il nome ufficiale di Marzabotto.
Ma questo nome dal suono quasi esotico in realtà che cosa voleva dire?
Nel dialetto della pianura padana il marzabotto, come il toscano calcabotto, è
un uccello notturno circondato, fin dall’antichità, da sospetti e strane
leggende. È anche il “falco della notte” (ingl. nighthawk), il caprimulgo dei latini, o
succiacapre (Caprimulgus europaeus, Linnaeus1758), che nei dialetti italiani ed
europei è nottola, nottolone, boccaccia, boccalone, funaro, rospo volante, rospo
notturno, mungitore di vacche, piange-alla-luna, ma anche mungitore di bambini,
uccello di morte, grido doloroso, guida delle streghe, uccello dei cadaveri,
ingoiavento (franc. engoulevent).
Se oggi il suo nome è diventato in America
quello di un aereo di attacco al suolo stealth ad altissima tecnologia (che
ricorda, nel suo essere invisibile ai radar, il modo in cui il caprimulgo compare
improvvisamente alle prede e ai passanti sui sentieri di notte), nell’antichità
anche Plinio era convinto che succiasse effettivamente il latte delle capre con
un comportamento “umano” molto “sospetto” e fonte di credenze superstiziose. In realtà liberava le capre
dalle zecche e parassiti attaccati vicino alle mammelle, e queste, grate, lo lasciavano fare.
Ma il comportamento che più
segnerà la fama sinistra del caprimulgo è il fatto che ancora oggi sia talvolta
osservabile come il pennuto, abituato a predare rane colpendole con il suo largo
becco sulla testa, quando la stessa cosa capita con un rospo rimanga stordito,
drogato dall’essudato del batrace e dalla bufotenina (una specie di LSD
naturale), e finisca per oscillare sul dorso del rospo con un movimento che ricorda un accoppiamento. Da qui il
nomignolo calca (= “cavalca”) –botto (= “rospo”) o, per l’appunto marza (da marzare “ingravidare”) –botto. Proprio questa abitudine
-e una fama che già
nell’antichità per Celti e Germani lo faceva considerare uccello accompagnatore
delle anime dei morti e annunciatore di morte, tanto che fin dal VII secolo
a.C. appare raffigurato nell’arte delle situle della cultura piemontese-lombarda
di Golasecca- porterà nel medioevo il povero caprimulgo ad essere
perseguitato come manifestazione diabolica, in quanto i rospi erano direttamente
collegati alle streghe e chi si accoppiava in travestimenti animali con le
streghe non poteva essere, secondo una ferrea logica superstiziosa, che il
diavolo.
Il succiacapre è un uccello lungo, delle dimensioni di un usignolo maggiore, con
una testa grande, piatta e molto corta ma un becco molto largo circondato da una
peluria (le filopiume che servono alla cattura degli insetti in volo), che si
dipartono dalla base del becco. Il piumaggio è di colore grigio scuro con
striature più chiare e chiazze più scure. Le ali sono eccezionalmente lunghe
tuttavia anche piuttosto strette; nell'ultimo terzo della parte inferiore delle
ali appare una striatura bianca, persino le ali pilota esterne della lunga coda
sono bianche mentre quelle centrali sono di colore scuro nero e marrone.
Nelle
femmine, quasi dello stesso peso e della stessa dimensione, mancano le
caratteristiche distintive alle ali e alla coda. Durante il volo l'uccello
appare significativamente più grosso e simile ad un falco per l’aspetto, e da qui
il nomignolo.
Oggi è molto difficile vedere caprimulghi nel Piano di Misano, ma evidentemente
nell’800 la cosa poteva essere ben più frequente. Che il territorio dell’antica
città etrusca fosse associato con un’abbondanza di caprimulghi in un’epoca in
cui ben maggiore era la presenza di greggi di ovicaprini nell’area non stupisce,
ma possiamo escludere che in qualche modo una consapevolezza della presenza
della città sepolta portasse i contadini a immaginare un particolare concorso
degli uccelli legati alle anime dei morti?
Certo nel segno misterioso ed evocativo del “falco della notte” si compie 130
anni fa un atto estremamente importante di stretta congiunzione tra la città dei
vivi e la città morta, che, su richiesta degli stessi abitanti, rinomina in via
definitiva l’intera comunità a segnare la sottolineatura del valore identitario
delle scoperte per la popolazione locale, nel rinnovato slancio dell’Italia
unita e nell’importanza data alle radici più antiche di tale ritrovata unità.
Ricordare tutto questo, aiuta a ripensare e ad aggiornare il rapporto e il forte
legame ancora oggi ben vivo tra l’area archeologica e il paese di Marzabotto