Museo Civico d'Arte di Modena, Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con Comune di Pievepelago e Comune di Monsampolo del Tronto
Le vesti di sempre
Gli abiti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo del Tronto. Archeologia e
collezionismo a confronto
22 dicembre 2012 – 7 aprile 2013
Modena, Musei Civici
Palazzo dei Musei in Largo Porta Sant'Agostino 337
inaugurazione 22 dicembre
2012
ore 17
seguirà
aperitivo
INGRESSO GRATUITO
Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, gli archeologi trovarono nella
cripta della chiesa parrocchiale di Roccapelago numerosi corpi perfettamente
mummificati e ancora vestiti con i propri abiti, monili e medagliette
devozionali, una scoperta che ha richiamato l’attenzione di molti studiosi e del
vasto pubblico che ha visitato la mostra allestita nell’estate 2012 nel luogo
del ritrovamento.
Quel rinvenimento sensazionale è ora oggetto di una nuova, suggestiva
esposizione incentrata sugli abiti indossati dalla piccola comunità
dell’Appennino modenese tra la seconda metà del ‘500 e la prima metà del ‘700.
Un vestitino da bambino, alcune camicie con ricami, sudari in tessuti poveri e
cuffie in più pregiati tessuti di seta e velluto saranno messi a confronto con
gli abiti indossati da altre mummie dello stesso periodo rinvenute a Monsampolo
del Tronto (AP).
Verrà proposto anche un ulteriore raffronto tra gli antichi tessuti restituiti
dalle indagini archeologiche e i tessuti e le raccolte d’arte ed etnografiche
del Museo Civico di Modena.
La mostra è promossa dal Museo Civico d'Arte di Modena, dalla Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna e dall’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con il Comune di Pievepelago e il Comune di Monsampolo del Tronto
conferenza stampa
venerdì 21 dicembre ore 10.30
presso il Museo Civico d'Arte
Partecipano
Roberto Alperoli, Assessore alla Cultura del Comune di Modena (in attesa di
conferma)
Laura Carlini, responsabile del Servizio Musei IBC
Filippo Maria Gambari, Soprintendente per i Beni Archeologici
dell'Emilia-Romagna
Francesca Piccinini, direttrice del Museo Civico d'Arte
Lorenzo Lorenzini, uno dei curatori della mostra
Gli abiti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo
La vocazione di un museo civico, come è anche quello di Modena, è testimoniare la
storia della città e del suo territorio e per costruire questa narrazione può
utilizzare gli strumenti più disparati.
L'allestimento storico del museo modenese ha come punto di forza la serialità
dei reperti accostati al fine di ottenere campionature esaustive e pertanto la
messa a fuoco non verte sul singolo oggetto ma sull'insieme; una rete di
relazioni unisce poi le collezioni che si compenetrano e si completano in
un'unica grande panoramica.
Questa premessa rende più facile comprendere il disegno sotteso a questa mostra
che, facendo capolino anche nel titolo -archeologia e collezionismo a confronto-
intende allargare i propri confini ben oltre quelli regionali.
La
partenza si colloca a Roccapelago dove le particolari condizioni microclimatiche
della cripta della chiesa hanno consentito la conservazione dei corpi di molte
generazioni di montanari vissuti tra Sei e Ottocento; con essi le povere
testimonianze delle devozioni che li avevano accompagnati in vita e gli
indumenti utilizzati in questo estremo frangente.
Che questo non sia il solo
caso in Italia è provato dalla presenza in mostra di oggetti provenienti da un
analogo ritrovamento marchigiano ma, quello di Roccapelago, resta al momento un
unicum in Emilia. Sebbene siano stati già raggiunti interessanti risultati,
molti sono gli aspetti tutt'ora in corso di indagine; questa mostra, in
particolare, si concentra sullo studio dell'abbigliamento popolare, argomento
poco rappresentato da effettive testimonianze materiali.
La realtà di Roccapelago restituisce un grande numero di reperti tessili. Sebbene molti di essi risultino illeggibili per lo stato frammentato, ne sono
stati individuati alcuni che, opportunamente contestualizzati, aprono uno
scorcio molto interessante sulla storia del costume. Quanto emerge invece dal
sito di Monsampolo è di tutt'altro tenore, i corpi sono rivestiti di abiti quasi
integri e di livello qualitativo superiore.
La prima considerazione da non
tralasciare è che le condizioni sociali ed economiche dei due centri erano
diverse.
La piccola comunità dell'Appennino modenese doveva lottare
quotidianamente con la durezza della vita che imponeva pochissime concessioni al
superfluo. Tali limitazioni si protraevano oltre l'esistenza e dettavano il
metodo di inumazione: i cadaveri venivano generalmente vestiti soltanto con la
camicia e le calze, quindi chiusi in un sudario in tela che spesso veniva cucito
sul defunto. Tra la considerevole mole di brandelli di stoffe che fasciavano i
cadaveri mummificati sono stati individuati soprattutto frammenti di camice, in
particolare teli con tracce di scolli e polsi, talvolta ornati di merletti e
bottoni; sono stati isolati anche lacerti di tessuti diversi, alcune tele di
lana o di lana e lino, stoffe a quadri tinte in azzurro con il guado, modesti
ornamenti come nastri, fettucce e cordoncini. Il corpo non veniva quindi
vestito, lo si lasciava con la camicia, l'indumento più intimo, portato
direttamente sulla pelle, talmente personale da non poter essere trasmesso ad
altri. L'assenza di abiti potrebbe infatti avere quale vera motivazione la
necessità di conservarli per altri, fatte salve alcune eccezioni. Tra queste
risultano sorprendenti le due cuffie, una di damasco e l'altra di velluto,
uniche presenze di pregiati tessuti di seta, da leggere come un segno struggente
di affetto lasciato sul corpo di un neonato e di una signora. Ci si chiede come
fossero giunti presso la comunità di Roccapelago due esempi di moda “alta”, non
tanto per la confezione quanto per la stoffa; velluto e damasco sono infatti
produzioni di pregio, certo per la materia prima ma, soprattutto, per la tecnica
di tessitura che presupponeva l'utilizzo di macchine complesse e l'appartenenza
a un comparto produttivo del tutto estraneo alla zona. In un contesto dove si
registra quasi esclusivamente la presenza di manufatti eseguiti localmente, gli
oggetti di lusso potevano arrivare soltanto attraverso il commercio o, più
verosimilmente, attraverso un dono.
Anche l'analisi dei piccoli ornamenti come i merletti e i nastri portano alla
scoperta di tecniche antiche. Tra questi un sottile nastro decorato con coccarde
di seta, ritrovato nello strato più in basso della cripta (US 28), databile
quindi tra XVI e XVII secolo. La tecnica di esecuzione è una semplificazione di
quella usata per i nastri di seta che adornavano giubbe, corpini e calzoni
durante il Rinascimento. Tale tecnica, che sembra sparire nel secolo successivo,
si avvaleva di tavolette con quattro fori attraverso i quali passava un filo
d’ordito; questi erano tenuti in tensione e, dopo ogni passaggio di trama, si
giravano tutte le tavolette di un quarto o di un mezzo giro. Ne risultava un
tessuto faccia ordito con effetti a maglia o di diagonale a seconda come erano
piazzate le tavolette.
Nella confezione di fettucce poteva essere utilizzata un'altra tecnica, oggi
scomparsa ma molto diffusa in passato per la facilità di apprendimento; si
tratta di un intreccio ottenuto manipolando dei fili sulle dita: si creano dei
cappi poi raccolti in cima e passati sulle dita di una o più persone; tali cappi
si incrociano attraverso il passaggio di mano e creano via via un intreccio
diverso sul davanti e sul dietro. In entrambi i siti sono stati trovati esempi
nei bordi degli indumenti, nei peduncoli dei bottoni o per stringere un corpino,
come nella mummia 21 di Monsampolo del Tronto.
Diverse sono le caratteristiche del sito di Monsampolo del Tronto, la comunità
marchigiana poteva infatti contare su una maggiore agiatezza e su una
collocazione geografica più favorevole, di migliori condizioni di vita insomma
che, esattamente come per Roccapelago, hanno avuto una continuità nel post mortem. La cripta della chiesa di Maria SS. Assunta è stata utilizzata come
sepoltura per cura della confraternita della Buona Morte ma, nonostante
l'evidente similitudine con quella del borgo emiliano e le analoghe prospettive
di studio offerte, si differenzia per il microclima che ha determinato la
mummificazione naturale dei corpi e la perfetta conservazione delle fibre
vegetali -lino, canapa, ginestra- degli abiti, normalmente soggette ad un
completo degrado durante la decomposizione. La modalità di inumazione di
Monsampolo, inoltre, prevedeva una completa vestizione dei cadaveri. Gli abiti
si sono conservati quasi integralmente nella stratificazione data loro al
momento della sepoltura: la camicia, la sottana, il corsetto e talvolta un
giacchino per le donne, la camicia, i calzoni, il gilet e una giubba per gli
uomini. Pur trattandosi di vesti contadine, la qualità piuttosto alta le
qualifica come “abiti della festa” arricchiti di nastri, cordoni o semplici
ricami. Sono ben conservati anche i colori dati da pigmenti naturali, fra tutti
gli azzurri ottenuti dal guado. Di particolare interesse risulta poi il
confronto con le tavole pubblicate integralmente da Sergio Anselmi che
rappresentano i costumi dei popolani marchigiani. Gli acquerelli originali
(Civica Raccolta Stampe Bertarelli del Castello Sforzesco di Milano) sono frutto
di una ricognizione sullo stato delle campagne del Regno Italico commissionata
dall'amministrazione napoleonica nel 1811. La sequenza di figurini, il cui scopo
classificatorio indulge in un idealizzato decorativismo, è tuttavia assai fedele
nella riproduzione delle fogge, dei colori, delle proporzioni e arriva,
talvolta, a definire perfino la costruzione sartoriale. Nonostante la parata di
contadini non sembri neppure sfiorata dalla durezza della vita, lontana da
stenti e fatiche, è innegabile l'esattezza tutta illuminista di questo
repertorio; i “villani”, perfino nei loro rudi abiti da lavoro, appaiono immersi
in una bucolica visione che privilegia la festa, i momenti di aggregazione e di
svago. La trasposizione nella realtà della cripta induce a pensare che la morte
stessa rientri nelle situazioni topiche della vita e che, come il fidanzamento e
il matrimonio, sia occasione per sfoggiare l'abito buono.
Il sito di Monsampolo ha l'impagabile merito di restituire pressoché intatti
capi d'abbigliamento fino ad ora conosciuti quasi esclusivamente attraverso la
pittura. Al contrario, è principalmente attraverso il rapporto con questa forma
d'arte che i brandelli di Roccapelago trovano un completamento: la camiciola
infantile ornata dal vaporoso colletto a “lattuga” trova un puntuale riscontro
nel dipinto di Giovanni Antonio Burrini rappresentante Due teste di carattere.
Il paggio “moro” e il ragazzo biondo, rappresentanti di una classe subalterna,
indossano entrambi una camicia ornata al collo da una gorgiera non inamidata, un
vero e proprio anacronismo se si considera la datazione del quadro negli anni
'80 del Seicento; tuttavia, quello che a livello stilistico si giustifica come
un omaggio a Tiziano e alla pittura veneta, è probabilmente la rappresentazione
di una livrea, un abito “senza tempo” destinato a designare l'appartenenza di
chi lo indossava. Così come il volgo in genere era tenuto a esprimere il proprio
stato attraverso l'abbigliamento e, al di là delle possibilità economiche, era
considerato sconveniente che i “villani” vestissero con lusso e trasgredissero
le norme sociali pavoneggiandosi in abiti alla moda. Non deve quindi stupire la
permanenza di forme e modelli inalterati nei secoli, sopratutto per quanto
riguarda la confezione di alcuni capi. La camicia, indossata in ogni tempo e in
ogni luogo da ricchi e poveri, quasi una seconda pelle, ha in fondo poche
varianti costituite essenzialmente dai decori e dalla finezza della tela con la
quale era confezionata. Tuttavia quello che a prima vista sembrerebbe un modesto
margine di modifica, rivela in realtà una ampia gamma di espedienti sartoriali.
L'eccezionalità dei due siti consiste anche nel numero davvero alto di reperti
la cui incompletezza è compensata dalla vastità di esempi forniti. Le camicie
utilizzate dai ceti rurali erano essenzialmente confezionate in casa completando
un ciclo di produzione autarchica: dalla coltivazione delle piante tessili e
dall'allevamento degli ovini provenivano le materie prime, poi cardate, filate,
eventualmente tinte e infine tessute su telai domestici. L'analisi dei reperti
ha suggerito che, in assenza di un modello prestabilito, il taglio delle camice
si basava essenzialmente sulla suddivisione della pezza la cui altezza
costituiva una sorta di modulo. Tale altezza, che dipendeva dai regolamenti
municipali, si aggirava attorno ai 65 cm; quello che contava davvero però era
che ogni singolo pezzo tagliato risultava da una suddivisione del tessuto che
non prevedeva nessuno spreco. I tagli diritti avvenivano mediante la sfilatura
di un filo di trama il quale permetteva l'allineamento e la perpendicolarità
delle varie parti e degli orli. Le camice di Roccapelago rivelano una condizione
di povertà piuttosto accentuata, non solo per il fatto di essere l'unico
indumento indossato dalle mummie ma anche per i numerosi rattoppi, stratificati
e accostati con estrema cura; doveva trattarsi dell'unica camicia posseduta dal
defunto e portata per una vita intera, tanto da diventare letteralmente un
insieme inscindibile con la persona. Tuttavia ogni camicia mostra una sua
raffinata perfezione nelle cuciture, talvolta doppie, negli impunturati e nei
punti indietro. La funzionalità veniva di conseguenza, ad esempio le parti sotto
le ascelle mostrano l'unione di teli (cimosa a cimosa) con punti incrociati che
risultano piatti, non si creavano quindi fastidiose sovrapposizioni contro la
pelle dove andava il corpino esterno. Un accorgimento sofisticato se si pensa
alla vita dura dei contadini come i ricami in bianco sulle camice con punti
combinati a diversi passaggi in modo da creare un rilievo; oppure il punto
incrociato per tenere insieme le piccole pieghettature intorno allo scollo e ai
polsi.
Sulle camicie femminili troviamo spesso delle finiture in merletto, quasi sempre
a fuselli a fili continui (il filo caricato su un gran numero di fuselli
intreccia creando contemporaneamente il fondo e il motivo). Per Monsampolo
questo fatto non è tanto sorprendente vista la prossimità a Offida, centro
caratterizzato da una lunga e remota tradizione; nel Modenese, in particolare
per le zone montane, non risultava invece nulla di simile; i filati piuttosto
grezzi e la semplicità della tecnica rende molto probabile che la loro
esecuzione sia avvenuta sul territorio. Il fondo esagonale corto indica
l'assenza di disegni con la foratura degli aghi preimpostata, piuttosto
lavoravano a mano libera con la guida di una stoffa a righe o a quadretti posta
a rivestimento del tombolo. L'analisi dei manufatti indica inoltre che sono
stati utilizzati pochi spilli per fissare e tenere in posizione il merletto in
fase di lavorazione.
Ben diversa è la fattura delle camice di Monsampolo, a partire dal taglio che
prevedeva la confezione della parte inferiore, quella che restava nascosta sotto
il bustino e la sottana, in una tela più robusta. La parte superiore e le
maniche sono invece arricchite di merletti e di ricami di fattura piuttosto
raffinata e che riportano a tipologie decorative a cavallo tra Cinque e
Seicento. La prima ipotesi possibile è che i due manufatti siano stati
tramandati per molte generazioni in virtù delle preziose finiture; in seconda
battuta può essere invece ipotizzata un'esecuzione non così lontana nel tempo ma
ancorata a una tradizione decorativa di matrice antica. In ogni caso emerge in
tutta la sua forza una umanità che, seppure gravata dalle contingenze di
un'esistenza non facile, agiva consapevolmente entro una rete di valori
imprescindibili segnalati anche attraverso le vesti e gli ornamenti; “villani”,
certo, ma impegnati a profondere decoro e dignità ai momenti fondamentali della
vita, compresa la morte.
Sede mostra e informazioni:
Museo Civico d'Arte,
Palazzo dei Musei
Largo Porta Sant'Agostino 337
41121 Modena
T. +39 059 2033101/25
F. +39 059 2033110
museo.arte@comune.modena.it
www.comune.modena.it/museoarte
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Orari:
martedì-venerdì: 9-12
sabato, domenica e festivi: 10-13 e 15-18
25 dicembre e 1 gennaio: 15-18
lunedì chiuso
Promotori
Museo Civico d’Arte - Comune di Modena
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
in collaborazione con
Comune di Pievepelago, Comune di Monsampolo del Tronto, Arcidiocesi di Modena e
Nonantola, Chiesa della Conversione di San Paolo di Roccapelago, Diocesi di
Ascoli Piceno, Parrocchia Maria Ss. Assunta Monsampolo del Tronto
Comitato scientifico
Marta Cuoghi Costantini, Donato Labate, Lorenzo Lorenzini, Francesca Piccinini,
Thessy Schoenholzer Nichols, Iolanda Silvestri
Catalogo a cura di
Lorenzo Lorenzini e Thessy Schoenholzer Nichols
Studio degli abiti
Thessy Schoenholzer Nichols
Testi di
Laura Carlini, Annalisa Biselli, Filippo Maria Gambari, Donato Labate, Lorenzo
Lorenzini, Angela Lusvarghi, Ivana Micheletti, Mario Plebani, Thessy
Schoenholzer Nichols, Iolanda Silvestri
Redazione
Isabella Fabbri, Iolanda Silvestri (IBC)
Progetto espositivo
Lorenzo Lorenzini
Coordinamento tecnico
Giorgio Cervetti
Comunicazione
Cristina Stefani
Progetto grafico
Beatrice Orsini, Iolanda Silvestri (IBC)
Realizzazione grafica
Beatrice Orsini (IBC)
Allestimento
L’ARCA. Progettazione e tecniche esecutive nel restauro, Modena
Settore Manutenzione e Logistica del Comune di Modena, Reparto falegnameria
Logo Pubblicità, Modena
Laboratorio didattico a cura di
Nicoletta Di Gaetano, Luana Ponzoni
Operatori educativi: Luisa Capelli, Elisa Casinieri, Eva Ori, Elisabetta Tiddia
Amministrazione
Annalisa Lusetti, Milvia Servadei
Segreteria
Camilla Benedetti, Maria Grazia Lucchi
Impianti audiovisivi
Lorri Mediaservice
Crediti fotografici
Costantino Ferlauto (IBC), Roberto Macrì, Ivana Micheletti, Donato Labate,
Thessy Schoenholzer Nichols, Barbara Vernia
Ufficio stampa
Giulia Bondi, Comune di Modena
Valeria Cicala, Isabella Fabbri, Carlo Tovoli (IBC)
Carla Conti, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Restauri
Laboratorio R.T. Restauro Tessile, Albinea (RE), con finanziamento IBC
Laboratorio “La Congrega”, Ancona
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Un ringraziamento speciale a
Gabriele Beccantini, Stefano Casciu, Valeria David, Daniele Diotallevi, Enzo
Ferroni, Melanie Frelat, Giorgio Gruppioni, don Elvino Lancellotti, Luigi
Malnati, don Pietro Mandozzi, Caterina Margione, Luca Mercuri, Rachele Merola,
Ivana Micheletti, Emanuela Micucci, Vania Milani, Roberto Monaco, Cristiano
Silvestri, Nazzareno Tacconi, Mirko Traversari, Maria Rosaria Valazzi, Barbara
Vernia, Ivan Zaccarelli.
Stampa
Centro stampa regionale Emilia-Romagna
Promosso da: | Museo Civico d'Arte, Comune di Modena, Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con Comune di Pievepelago e Comune di Monsampolo del Tronto, Chiesa della Conversione di San Paolo di Roccapelago, Diocesi di Ascoli Piceno - Parrocchia Maria SS. Assunta Monsampolo del Tronto |
Quando: | 22 dicembre 2012 – 7 aprile 2013 inaugurazione 22 dicembre ore 17 - seguirà aperitivo |
Orari: | martedì-venerdì: 9-12 sabato, domenica e festivi: 10-13 e 15-18 25 dicembre e 1 gennaio: 15-18 lunedì chiuso |
Città: | Modena |
Luogo: | Museo Civico d'Arte, Palazzo dei Musei |
Indirizzo: | Largo Porta Sant'Agostino 337 |
Provincia: | Modena |
Regione: | Emilia-Romagna |
Sito internet: | www.comune.modena.it/museoarte |
Info: | Museo Civico d'Arte di Modena Tel. +39 059 2033101/25 Fax +39 059 2033110 museo.arte@comune.modena.it www.comune.modena.it/museoarte segui su facebook |
editing
Carla Conti
foto di Paolo Terzi