IL PAESAGGIO E I SEGNI DELL'UOMO:
Il caso di Pavullo nel Frignano (MO), Cava La Zavattona
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Il Paesaggio e i segni dell’uomo: il caso di Pavullo nel Frignano (Mo), Cava La Zavattona.


Fig.  1. Pavullo (MO), loc. Gaianello, Cava “La Zavattona”. Progetto di ripristino paesaggistico di tutta l’area estrattiva, in giallo gli affioramenti tutelati (Arch. Carla Ferrari, elaborazione Ivan Passuti).

Il contesto che intendiamo presentarvi si trova sull’Appennino Modenese, nel Comune di Pavullo nel Frignano (Mo) in località Gaianello, nella Cava “La Zavattona 9”, dove a partire dagli anni Settanta si estrae sabbia per il comparto ceramico della zona (fig. 1). In concomitanza con l’avvio del procedimento necessario per ottenere l'autorizzazione per l’ampliamento della cava è stata segnalata nell'area di futura estrazione una pietra con varie incisioni, che ha destato l'attenzione della Soprintendenza (fig. 2).


Fig.  2. La Pietra 1 e la visuale a Nord della Cava (foto F. Tomba).

Il caso della Cava La Zavattona si presenta come un esempio di tutela complessa ed olistica, molto stimolante perché cerca di comporre i diversi aspetti del rapporto tra uomo e natura coinvolgendo i profili storico, archeologico, paesaggistico ed etnoantropologico, per giungere ad un tipo di dichiarazione di interesse culturale ancora scarsamente praticato. Si può parlare pertanto di un caso "esemplare" e "sperimentale", che, coinvolgendo quasi tutti gli aspetti del patrimonio culturale che la Soprintendenza deve e vuole tutelare, potrà in futuro fare da "apripista" a casi analoghi ed ad oggi ancora scarsamente testimoniati.

Il primo aspetto su cui il personale tecnico che si è occupato del caso si è trovato a riflettere è stato che l'"oggetto" che si voleva conservare non è univocamente riconosciuto di interesse, non corrispondendo ad un parametro artistico o artigianale comunemente condiviso; non è, per intenderci, un "monumento" architettonico, un opera d'arte, un manufatto archeologico facilmente ed universalmente riconoscibile, ma si caratterizza per essere un bene materiale al di fuori dei canoni correnti, "fatto" ed "utilizzato" per rispondere più ad un’esigenza spirituale che estetica e che necessita sicuramente ancora di una maggiore conoscenza. Ma lo scopo della tutela è proprio la conservazione del bene oggetto della medesima nel futuro e la conservazione ha fra i tanti scopi proprio la conoscenza, in un processo aperto che si evolve e implementa nel tempo.

Le pietre incise e la saxorum veneratio


Fig.  3. Pietra 1, le incisioni cruciformi (foto C. Baraldi).

L'aspetto che caratterizza l’area della cava è la presenza di due affioramenti di arenaria con incisioni. La Pietra 1 - già nota - è caratterizzata da una molteplicità e varietà di incisioni (fig. 3): segni cruciformi, una cuppella (ovvero un avvallamento a semisfera) e la cd. “faccia del diavolo”, una raffigurazione schematica di volto umano che ha valso alla roccia il nome di "Pietra del Diavolo" (fig. 4). La Pietra 2, individuata in un secondo momento all’interno del bosco, è caratterizzata dalla presenza di ulteriori incisioni e cuppelle, poco visibili in mezzo ad una fitta coltre di muschio.


Fig.  4. Pietra 1, la cd.“faccia del diavolo” (foto C. Baraldi).


Fig.  5.
Pavullo (MO), loc. Monzone, Ca dl'Ana, “Margolfa” (da Benedetti 2002, p. 220 fig.6).

Si tratta di un caso non isolato nel Frignano, che si inserisce a pieno titolo nell’ingente patrimonio di incisioni e iscrizioni rupestri dell’Appennino modenese, fenomeno messo in relazione anche alle maschere apotropaiche in pietra caratteristiche anch'esse degli edifici dell'Appennino, le cosiddette "margolfe" (fig. 5; il primo e ad oggi unico censimento delle pietre incise e delle "margolfe" è stato compiuto da Dario Brugioni nel 2004 che ha registrato le attestazioni di incisioni e iscrizioni rupestri nei boschi, in posizione di vetta o realizzate sugli edifici).

Il contesto archeologico - dalla fortissima valenza paesaggistica - che costituisce uno stringente e fondamentale confronto per comprendere l’importanza delle incisioni di Gaianello è il vicino sito di Ponte d’Ercole o Ponte del Diavolo, raggiungibile percorrendo sentieri che uniscono i due luoghi. Questo ponte, posto al centro del Frignano, in collegamento con i corsi dei torrenti Rossenna e Scoltenna, ha rivestito un’importanza indiscussa dalla Preistoria al Medioevo, sia per il suo inserimento nella rete degli itinerari, sia in particolare per la sua valenza religiosa. Si tratta di un monolite in arenaria conformato naturalmente ad arco, posto presso sorgenti sulfuree dalle proprietà curative. Tale roccia sin da epoche antiche ha attratto l'uomo, che lo ha frequentato a scopo prevalentemente di culto, come testimoniano le offerte votive rinvenute nei suoi dintorni. La superficie del ponte è ricca di incisioni, alcune cruciformi, e iscrizioni sovrapposte tra loro, di difficile datazione.

Il corpus delle incisioni rupestri del Frignano è alquanto variegato: dalle cuppelle, collegate a riti lustrali, alle croci, ai segni antropomorfi, geometrici e alfabetici, alle date. La loro posizione è quasi mai casuale: le si trovano in corrispondenza dei percorsi di crinale, sulle vette o vie storiche e in luoghi dalla toponomastica suggestiva, come “Sasso delle Fate”, “Tana delle Fate” e i numerosi “Ponte del Diavolo”, che suggeriscono l’appartenenza di tali segni alla sfera del sacro. La saxorum veneratio (il culto delle pietre), insieme al culto delle fonti, degli alberi, che affondano le proprie radici in rituali di epoca preistorica, venne fortemente contrastata dalla Chiesa ufficiale a partire già dal IV secolo, attraverso la sovrapposizione dei riti cristiani alle pratiche pagane e la costruzione su aree una volta dedicate a culti precristiani di croci, pilastrini votivi e chiese. Allo stesso modo le incisioni di Gaianello si possono spiegare alla luce di questa "sostituzione" ed interpretazione cristiana di culti e segni pagani posti in quello che doveva essere un luogo di culto all'aperto.

La Soprintendenza aveva già affrontato il tema della tutela delle incisioni rupestri quando nel 2016, si era occupata delle cosiddette "Lavagne di Ospitale" di Fanano (MO), loc. La Sega (fig. 6). Tali iscrizioni occupano completamente per una lunghezza di circa 20 m una parete verticale in arenaria posta nei pressi di un tratto della famosa via Romea che portava dal Medioevo i pellegrini verso Roma. Anche in questo caso il significato delle iscrizioni e la loro datazione sono attualmente ancora incerti. Per meglio comprendere il fenomeno quindi è stato impostato in via preliminare un progetto (con il generoso supporto della dott.ssa R. Poggiani Keller) finalizzato alla loro documentazione e studio auspicando per il futuro il censimento di tutte le incisioni rupestri del Frignano,  attraverso una capillare attività di  schedatura e georeferenziazione (ovvero la precisa collocazione in cartografia e quindi nello spazio).


Fig.  6.
Fanano (MO) – loc. Ospitale, Borgo de La Sega, le cd. “Lavagne” (foto S. Campagnari).

 Un riferimento anche metodologico a livello nazionale è il  Sito UNESCO n. 94, Incisioni Rupestri della Valle Camonica, un contesto che deve la sua importanza non solo per la quantità di soggetti incisi, ma anche per l’evoluzione cronologica e per lo stretto legame che le incisioni hanno con la storia dell’uomo, in un percorso che parte nella preistoria e protostoria per giungere, attraverso i segni di età romana, medievale e moderna, sino alle soglie del XX secolo.

È in ogni caso da sottolineare come un progetto di questo tipo non possa prescindere da uno studio multidisciplinare, che permetta di comprendere un fenomeno che coinvolge i settori dell’archeologia, dell’antropologia, della storia antica e delle religioni, della linguistica e glottologia, della sociologia, dell’etnologia e dello studio del paesaggio antico.

Insediamenti e vie di percorrenza: il Frignano tra storia ed archeologia

Per meglio capire il contesto partiamo quindi con l'inquadrare meglio il luogo in cui queste incisioni sono state rinvenute ed in generale l'area dell'Appennino modenese sede della cava e le vicende storiche legate a questi posti.

Questa si trova infatti a monte della confluenza di due corsi d’acqua: il Fosso Giordano ed il Fosso dell’Acqua Puzzola, in un'area particolarmente adatta all'insediamento antico, sicuramente in una posizione strategica di altura e vicina ad un crinale ancora oggi percorso da una strada che ricalca la viabilità storica, caratterizzata nei secoli da fenomeni di pellegrinaggio e collegata a castelli, pievi e borghi di epoca medievale. Anche la sentieristica conduce ad un castello altomedievale, fino ad arrivare a Pont'Ercole.

Il sito è inoltre ben collegato all’altopiano di Pavullo e alla via verso l’alta pianura, areali che risultano ricchi di testimonianze archeologiche a partire già dall’età del Bronzo; è infatti ormai risaputo come il territorio del Frignano fosse percorso da una serie di itinerari che permettevano lo scambio di materie prime. Così doveva essere anche in periodo etrusco, quando questa zona conosce un popolamento piuttosto sporadico e concentrato per lo più a controllare le vie di comunicazione che, attraversando gli Appennini, giungevano in Toscana. Infine le numerose testimonianze archeologiche di epoca romana e medievale confermano la continuità nella scelta delle vie di percorrenza di epoca preistorica.

Per quanto riguarda il sito della cava sono stati rinvenuti alcuni reperti eneolitici (dell'Età del Rame), pochi frammenti ceramici e litici che ribadiscono come anche nelle fasi preistoriche questo luogo potesse vantare una posizione strategica. Caratteristica questa dovuta proprio alla posizione elevata, al rapporto con una zona a minore pendenza, alla vicinanza alla confluenza di corsi d’acqua e all'inserimento in una rete di collegamenti itinerari.

Le pietre incise: un bene demoetnoantropologico

Per quanto riguarda invece il problema della valenza etnoantropologica di queste incisioni, lo si è affrontato con l'aiuto fondamentale della dott.ssa A. Tucci, demoetnoantropologa.

Si è così compreso che un bene etnoantropologico materiale si riconosce per l’appartenenza ad una ben individuata tradizione locale: cioè che chi produce o chi usa quel bene rappresenta la propria comunità tanto quanto sé stesso e per questo motivo il bene da lui prodotto o usato riflette un più generale modello culturale condiviso. Inoltre il significato attribuito a tali “oggetti” è decodificabile ed ha significato solo all’interno delle comunità che li hanno prodotti. Infine, poiché molti oggetti definibili come demoetnoantropologici non presentano in sé particolari elementi di distinzione (difficile tracciare una linea netta di demarcazione tra ciò che è possibile identificare certamente come bene demoetnoantropologico e ciò che non invece non lo è), il loro riconoscimento in quanto beni culturali di interesse demoetnoantropologico deriva dalle interpretazioni che vi vengono costruite intorno, attraverso la ricerca antropologica e la conseguente produzione di documentazione, ovvero grazie allo studio che porta alla loro conoscenza ed interpretazione.

Pertanto  rispetto ai massi incisi considerati è risultato abbastanza evidente il legame ed il rimando alla vita della comunità che li ha prodotti.

L’evoluzione del rapporto uomo-paesaggio nel tempo come oggetto della tutela

Venendo al contesto paesaggistico in cui tali massi incisi sono inseriti, questi attestano inequivocabilmente come questa zona di bosco sia stata oggetto di permanenza, transito e vita in epoca antica: qui pastori, cacciatori e pellegrini di epoche passate lasciarono traccia del loro passaggio nel corso dei secoli proprio attraverso i loro segni attorno e sopra le rocce.

Pensare di conservare e tutelare tali massi spostandoli dal luogo originario, come è stato inizialmente proposto, è stato ritenuto non possibile, proprio perché tale spostamento avrebbe comportato una irrimediabile perdita di conoscenze e informazioni, interrompendo tutti i collegamenti del paesaggio-palinsesto fra l’oggetto (i massi iscritti) ed il contesto (la loro posizione nello spazio, non casuale); infatti essi hanno una collocazione di vetta che molto probabilmente ha costituito nel passato un’attrattiva dal punto di vista spirituale e tale importante relazione è ancora da indagare compiutamente.

Tutelare e valorizzare

L’area di nuova escavazione della Zavattona era sottoposta a tutela paesaggistica, soggetta a parere della Soprintendenza. Pertanto, a norma di legge (D.Lgs 42/2004 e s.m.i., art. 146, comma 1) “… I proprietari … o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico … non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. …”. La Convenzione Europea sul Paesaggio (resa esecutiva dalla L.14/2006) specifica che salvaguardare il paesaggio significa indicare le azioni di conservazione e di mantenimento dei suo aspetti significativi o caratteristici, e che il valore di patrimonio culturale del paesaggio stesso è giustificato non solo dalla sua configurazione naturale ma anche dal tipo di intervento umano che lo ha modificato. Per paesaggio quindi si intende complessivamente l’insieme delle relazioni uomo-natura nel trascorrere del tempo e di tutti i segni-tracce-trasformazioni che questa relazione ha lasciato. Nel caso considerato l’oggetto della tutela è il bosco e l’attività estrattiva innegabilmente lo avrebbe distrutto, proponendo come compensazione un ripristino ambientale con rimboschimento alla fine dell'escavazione. La questione essenziale però è che il paesaggio da tutelare, e nello specifico il bosco, non è costituito da soli alberi, ma anche dal profilo geomorfologico e in particolare in questo caso dalle tracce antropiche che le rocce custodiscono, in considerazione soprattutto del carattere etnoatropologico delle incisioni, pertanto nessun rimboschimento potrebbe ricostruire l’insieme di valori di cui è portatore.

I due massi sono stati così dichiarati di interesse culturale con un provvedimento che ha evidenziato come si trattasse di un bene con caratteri al limite fra la tutela di tipo archeologico, etnoantropologico, già paesaggistico e quindi culturale in senso lato.

Questa scelta sottolinea ed afferma la valenza culturale del bene, la sua importanza per la storia locale e del territorio, valenza che contribuisce in modo fondamentale e insostituibile alla formazione delle coscienze e dell’identità della popolazione locale.

All’ente di tutela è richiesto di affermare per i "segni" dell'uomo, a qualunque scala ed al di là di giudizi di valore estetico e selettivo, la necessità di essere tutelati e conservati, anche quanto l'interesse potrebbe essere meno diffusamente e immediatamente riconosciuto, ma non per questo sacrificabile.

Si è così richiesta la tutela in situ dei massi con una congrua fascia di rispetto e l'elaborazione di un piano di valorizzazione post scavo che non fosse solo un semplice rimboschimento, ma che vedesse nell’escavazione il segno nel paesaggio dell’uomo contemporaneo, delineando un percorso di evoluzione nel tempo fino all’epoca attuale, che rendesse evidente come anche le attività estrattive si inserissero all'interno del palinsesto-paesaggio come uno dei cambiamenti operati dall'uomo sul contesto, ponendo le basi per il graduale riconoscimento della valenza etnoantropologica di queste incisioni, cercando di comprendere i caratteri di questi beni, che costituiscono una parte del patrimonio culturale italiano che tarda a trovare il dovuto riconoscimento.

Le linee guida alla base del progetto di valorizzazione redatto dall’architetto Carla Ferrari (commissionato dal proponente Alluminisil S.p.A.) nascono dal presupposto di non voler negare l’invasività dell’attività estrattiva sul paesaggio, ma di coglierne invece l’opportunità per ridisegnarlo in modo equilibrato e rispettoso della sua evoluzione nel tempo (fig. 1).

 Inoltre per ricomporre le relazioni con altri siti di uguale valore, attraverso gli itinerari storici più volte citati, è stato previsto un collegamento tra il sito dei Massi di Gaianello e la rete dei sentieri esistenti che conducono a Ponte del Diavolo, grazie anche alla preziosa collaborazione del Comune che ha saputo cogliere l’importanza della scelta culturale quale opportunità per il territorio. L’area circostante gli affioramenti sarà dotata di pannelli informativi, che consentiranno alla comunità, locale e non, di riappropriarsi di un passato non conosciuto, ma anche di leggere “sul posto” e comprendere come un’attività invasiva quale una cava, causa di consistenti alterazioni del paesaggio, possa a sua volta rientrare in gioco quale elemento di trasformazione dello stesso (fig. 7).


Fig.  7.
Rendering della proposta di sistemazione dell’area antistante la Pietra 1 (Arch. Carla Ferrari, rendering Studio DIM).

Non si nasconde che l'azione di tutela intrapresa dalla Soprintendenza si è trovata ad affrontare e contrastare numerose resistenze dovute ad interessi diversi da quelli della conservazione del patrimonio culturale, in primis interessi di tipo economico che sono stati innegabilmente in parte intaccati con la scelta imposta. Molte obiezioni sono state avanzate e queste vertevano proprio sulla necessità di procedere con l’escavazione immediata e senza limitazioni per perseguire “il bene comune dell’attività produttiva”, considerandolo un “valore” di ordine superiore. Ma non c'è interesse superiore a quello della protezione del patrimonio culturale, che è un bene collettivo, che dura nel tempo, e contribuisce alla conoscenza e alla formazione delle coscienze; tale valore non può pertanto essere sacrificato in considerazione di altre istanze, oltretutto proiettate sul breve periodo, ma è l'unico interesse che la Soprintendenza si deve preoccupare di tutelare (Circolare n.34 del 31 luglio 2015 del Mibact).

Contenuti a cura della dott.ssa Cristina Ambrosini, della dott.ssa Sara Campagnari e dell'arch. Francesca Tomba

Per approfondire:

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