Dalla prima età del Ferro (IX-VII sec.a.C.) alla peste del 1630
L'area archeologica nel Parco Novi Sad a Modena (scavi 2009-2010)
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L’area archeologica

La vasta area archeologica messa in luce nel sottosuolo del parco Novi Sad è stata scoperta a partire dall’autunno 2009, quando sono iniziati i lavori per la costruzione del parcheggio interrato NoviPark, per dimensione il secondo più grande d’Italia.
Nonostante nel corso del tempo il settore occidentale della città, lungo la via Emilia e nei pressi della Cittadella, avesse restituito numerose testimonianze archeologiche, per l’area del Foro Boario non si disponeva di alcuna documentazione archeologica diretta. Alcuni carotaggi preliminari all’avvio del cantiere avevano rivelato la presenza di suoli di età romana e medioevale e sulla base di questi risultati la Soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna aveva disposto il controllo archeologico in corso d’opera, poi trasformato in obbligo di scavo archeologico, vista la consistenza dei depositi rilevati.


Modena, Parco Nodi Sad - L'area archeologica

Lo scavo archeologico, che ha raggiunto la profondità di oltre 7 metri, ha messo in luce una stratigrafia che attesta una frequentazione dell’area fin dalla prima età del ferro (IX-VII secolo a.C.).
Dagli strati di età romana è emerso, perfettamente conservato, il tracciato di una strada in grossi ciottoli di pietra, in uso per almeno quattro secoli, dalla tarda età repubblicana al tardo antico.
Alle fasi di età romana, attestate in alcuni settori ad una profondità massima compresa fra 5,50 e 4,50 metri, seguono episodi alluvionali databili tra VI e VII secolo.
Dopo un periodo di abbandono, la zona viene nuovamente insediata nel Medioevo, a partire dal XIII secolo, con la fondazione di un monastero, messo in luce nel settore sud, che si sovrappone all’antica strada romana, cancellata dalle alluvioni.
In età moderna l’area è interessata nel settore nord-ovest dalla presenza di un sepolcreto che è stato messo in relazione all’epidemia di peste che investì tutto il Nord Italia nel 1630.


La grande strada acciottolata che conduceva a Mantova (Foto Paolo Terzi, 2010)

Le informazioni emerse dallo scavo ampliano il quadro di conoscenze sull’area a occidente della città, rispetto alla quale le notizie fornite dalle fonti risultavano sporadiche e poco dettagliate. Dell’esistenza di una strada romana su questo lato della città si avevano notizie indirette da documenti in cui si citava il ritrovamento di un “salegato di giaroni grosso che formava un saligato di strada”. Mancavano però dati sulla sua ubicazione e orientamento; le uniche annotazioni riportavano che il selciato era stato scoperto nell’area della Cittadella durante gli scavi per la costruzione del fossato nel 1635. Varie cronache modenesi del XVII secolo documentano sempre nell’area della Cittadella ritrovamenti di monumenti funerari riferibili a una necropoli, che probabilmente rappresenta la prosecuzione di quella individuata lungo la strada messa in luce al Novi Sad: oltre a un leone in pietra e alla cosiddetta stele dei Novanii, entrambi conservati al Museo Lapidario Estense, le fonti riportano la presenza di altre sepolture databili sia all’età imperiale che tardoantica, per la maggior parte andate successivamente disperse.

Nel Suburbio di Mutina

Tra la tarda Età Repubblicana e l’Alto Impero
Durante tutta l’età romana l’area dell’attuale Parco Novi Sad si trovava all’esterno del perimetro cittadino, ad una distanza di poco più di 600 metri dalle mura, che su questo lato della città correvano all’altezza di Fonte d’Abisso, Piazza Mazzini, Piazza XX Settembre.


Ipotesi ricostruttiva del paesaggio in età imperiale. Sono visibili la strada che proveniva da Mantova e si immetteva nella via Æmilia. Ai lati della strada, la necropoli e le discariche. A sinistra gli edifici con impianti produttivi; sullo sfondo, la città.
(disegno di Riccardo Merlo, 2010)

L’elemento aggregante di questa zona di suburbio era rappresentato dalla presenza di un’ampia strada che si staccava dalla via Emilia poco a ovest della città e proseguiva verso nord-ovest in direzione di Mantova, consentendo le comunicazioni verso le province transalpine del Norico e della Pannonia. La presenza di questa direttrice viaria conferma l’importanza strategica di Mutina nei traffici tra il centro Italia e le province settentrionali dell’impero. Certamente questo percorso fu teatro nei secoli di un continuo via vai di genti e di merci, come testimonia fra l’altro anche la profondità dei solchi lasciati dalle ruote dei carri, prodotti da una frequentazione intensa e prolungata nel tempo.
La costruzione della strada si data probabilmente fra la fine dell’età repubblicana e gli inizi dell’età imperiale, quando Mutina si distingue fra le città della penisola per la sua fama di “splendissima et floridissima urbs”, tramandata da Cicerone. Fedele alleata di Augusto (di cui aveva sostenuto l’ascesa al potere), la città gode in questo periodo di particolare floridezza grazie anche a una prospera economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame, oltre che su una fiorente attività produttiva e artigianale, incentrata soprattutto sulle produzioni laterizie (mattoni e lucerne) e di tessuti.
In questa fase la città si espande oltre la cinta muraria: sul lato ovest, nell’immediata periferia della città in corrispondenza di Piazza Grande, viene bonificata con gettate di anfore una zona paludosa per edificare lussuose dimore residenziali.
L’area di suburbio del Parco Novi Sad si presenta in questo periodo come uno spazio multifunzionale in cui, accanto a una vasta necropoli che fiancheggia la strada, coesistono edifici, impianti produttivi e ampie zone utilizzate come discariche di rifiuti.


La grande vasca circolare trovata nel settore nord dello scavo (Foto Paolo Terzi, 2010)

Nel settore nord gli scavi hanno intercettato la porzione di un edificio provvisto di un’area porticata a cui erano connessi una serie di impianti venuti in luce a breve distanza: due vasche, una circolare con un diametro di circa 14 metri ed una di forma quadrangolare di minore dimensione, e un pozzo. Poco più a sud gli scavi hanno portato in luce un altro edificio di dimensioni minori, anche questo provvisto di una piccola vasca quadrangolare.
Con tutta probabilità si tratta di edifici rustici con annessi impianti produttivi, in parte abbandonati nel corso della seconda metà del I secolo d.C. quando la grande vasca circolare, forse inizialmente destinata all’allevamento ittico, viene riutilizzata come discarica di anfore e come immondezzaio.
Altre tre discariche, di maggiori dimensioni, hanno restituito una grande quantità di anfore utilizzate come bonifiche di aree depresse o di cave a cielo aperto abbandonate. Le anfore sono disposte con l’imboccatura verso il basso e risultano quasi sempre bucate in vicinanza del puntale.


Grande fossa di scarico riempita con anfore disposte generalmente con l'imboccatura verso il basso (Foto Paolo Terzi, 2010)

All’interno di questi grandi immondezzai urbani sono stati rinvenuti numerosissimi reperti, anche di un certo pregio, che si datano tra il I e la prima metà del II secolo, tra cui uno strigile in bronzo sul cui manico è raffigurato un gladiatore, scarti di cottura di lucerne a canale con la firma FORTIS, il più noto produttore di lucerne del mondo romano, e diverse decine di crani umani.


Reperti di età imperiale dallo scavo degli edifici e delle discariche (Foto Paolo Terzi, 2010)

L’enigma dei crani - Del riempimento della grande vasca facevano parte anche alcuni reperti scheletrici umani: sette crani e quattro mandibole, rinvenuti nei sedimenti basali e gettati quando la vasca era ancora piena d’acqua. I piani di giacitura dei reperti lasciano supporre che questi siano stati deposti in momenti diversi, tutti comunque anteriori alla trasformazione della vasca in discarica. Crani e resti scheletrici umani sono stati rinvenuti anche nelle grandi fosse adibite a discariche. Tutti questi contesti si datano attorno alla metà del I secolo d.C.
Nel complesso sono stati rinvenuti più di quaranta crani. Sul significato della loro presenza non è possibile per il momento avanzare alcuna ipotesi definitiva, in quanto per il momento le indagini antropologiche sono state limitate ai soli esemplari rinvenuti nella grande vasca. Questi ultimi presentano segni attribuibili a decapitazione, disarticolazione o scarnificazione. Tali lesioni potrebbero riferirsi ad interventi post mortem.
Non è escluso che possa trattarsi di condannati alla pena capitale, la cui testa dopo un periodo di esposizione, come ammonimento per i delinquenti, era stata gettata nelle discariche del suburbio, oppure anche di resti provenienti da bonifiche di aree cimiteriali o da violazioni di sepolture. Si potrebbe ulteriormente ipotizzare, vista la attribuzione cronologica dei crani alla metà del I secolo d.C., un collegamento con la guerra civile per la successione al potere dopo la morte di Nerone (69 d.C.), evento che coinvolse direttamente anche la città di Mutina.

La necropoli che fiancheggiava la strada ha restituito numerose tombe, sia a inumazione che a cremazione.
Sono documentate sia la cremazione diretta (o bustum) che la cremazione indiretta (o ustrinum): nel primo caso la catasta di legna per l’incinerazione del defunto veniva accesa direttamente nella fossa tombale, nel secondo la cremazione avveniva in un luogo separato e solo successivamente si collocavano le ceneri nella sepoltura, talvolta all’interno di un’urna.
Frammenti di un letto funerario in osso rinvenuti in una tomba a incinerazione, testimoniano l’abitudine, documentata con una certa frequenza nelle necropoli mutinensi, di trasportare il defunto al luogo della cremazione disteso sul cosiddetto ferculum, portantina con specifica funzione funeraria, per lo più in osso o avorio, che veniva bruciata nel rogo.
E’ probabile che si riferiscano ad alcune delle sepolture individuate nello scavo le stele e gli altri resti di monumenti funerari recuperati in giacitura secondaria nello scavo. Allineati ai lati della strada, ciascuno in un proprio lotto di terreno al cui interno erano stati sepolti i morti ricordati nelle iscrizioni, questi monumenti, fra cui la stele di un centurione della XV legione Apollinaris, vennero smontati alcuni secoli più tardi e riutilizzati come elementi di copertura per nuove sepolture.

Tra la Media Età Imperiale e il Tardoantico
Fra il II e il III secolo d.C. l’intera zona di scavo risulta interessata da un deposito alluvionale di modesto spessore. Sopra questo vengono costruiti nuovi edifici, si eseguono opere di ripristino della strada, ai lati della quale continua a svilupparsi, fino al tardoantico, la necropoli.
Tutta la zona è caratterizzata dalla presenza di una fitta rete di canali di bonifica.
Nel settore nord lo scavo ha messo in luce due nuovi edifici impiantati in coincidenza o in prossimità delle preesistenti strutture di I secolo. Di uno di essi è stata individuata l’intera pianta, di forma quadrangolare con tre piccoli ambienti giustapposti, due dei quali preceduti da un portico. Un secondo edificio, scavato solo parzialmente, sembra invece essere frutto della ristrutturazione di una delle costruzioni di I secolo. A questo edificio è associato uno spiazzo in ciottoli realizzato in prossimità di un pozzo. Quest’ultimo presenta un’imboccatura lapidea collegata attraverso un breve condotto ad una vasca quadrangolare.
A giudicare dai materiali rinvenuti, la vita di queste costruzioni sembra spingersi fino all’età tardoantica (IV-V secolo d.C.). In questa fase Mutina deve fare fronte ai primi segnali di una crisi che si configurerà ben presto come un declino inarrestabile, fatti salvi brevi episodi di momentanea ripresa. Un declino che va di pari passo con l’indebolimento del potere centrale a Roma, dove si aprono continue lotte per la successione al seggio imperiale.
In relazione alle guerre civili che coinvolgono massicciamente anche il nord della penisola e alle ripetute incursioni di gruppi di barbari, si accentua il ruolo di Mutina come piazzaforte a cui corrispondono, a più riprese, opere di fortificazione e interventi di manutenzione di opere pubbliche (cinta muraria, ponti e strade). In quest’ambito rientra quasi certamente anche la ristrutturazione della strada che attraversa l’area del Novi Sad, strategica per il controllo del territorio.
Durante l’età tardoantica le aree che erano state urbanizzate nei primi tempi del periodo imperiale vengono abbandonate e occupate da vaste necropoli.
Nell’area del Parco Novi Sad la strada continua ad essere affiancata da sepolture ma la necropoli, qui come altrove, cambia completamente fisionomia per quanto riguarda i contesti sepolcrali, ora non più costituiti da monumenti ordinatamente disposti nei lotti di propria pertinenza bensì organizzati per nuclei di tombe che probabilmente riflettono legami di tipo famigliare o relazioni di altro genere tra i defunti. Le tipologie tombali presenti nella necropoli tardoantica del Novi Sad sono per la maggior parte a fossa, a cassa laterizia e alla cappuccina. Per alcune tombe vengono riutilizzate come coperture stele ed altri elementi lapidei di reimpiego, recuperati dalla necropoli della fase precedente.


Stele di età imperiale riutilizzate come lastre di copertura di tombe a cassa di età tardoantica, disposte sul lato occidentale della strada (Foto Paolo Terzi, 2010)

In questo periodo si diffonde anche a Modena la religione cristiana, ormai adottata ufficialmente dall’Impero. Verso la fine del IV secolo, Geminiano, vescovo della città, viene sepolto secondo la tradizione in una chiesa fuori dalle mura della città romana, là dove poi sorgerà l’attuale cattedrale.
Un'eco della situazione di drammatica crisi in cui si dovevano trovare Mutina ed altre città emiliane alla fine del IV secolo ci viene fornita da una testimonianza di S. Ambrogio che annovera la città in un elenco di semirutarum urbium cadavera (cadaveri di città semidistrutte).
L'incuria di quel complesso e delicato sistema di controllo idrogeologico messo in atto dai romani fin dai tempi della centuriazione, sia nel territorio che in città, determina probabilmente ripetuti dissesti ed eventi alluvionali, il più consistente dei quali sembra essere stato quello che attorno al 590 cancellò quasi totalmente l'assetto urbano di Mutina, citato da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum.
Anche gli scavi del Novi Sad hanno consentito di rilevare, tra gli strati romani e quelli medievali, spessi depositi di natura alluvionale che presumibilmente coincidono almeno in parte con l’evento menzionato da Paolo Diacono, come sembra testimoniare la presenza negli strati sottostanti l’alluvione di materiali riferibili alla fine del VI – inizi VII secolo. In particolare, nel riempimento del pozzo con imboccatura lapidea sono state rinvenute le stesse ceramiche scoperte nei cosiddetti pozzi-deposito del Modenese, documentati appunto in questo arco temporale.
Al tetto dell’alluvione di VI secolo, gli scavi hanno restituito ceppaie e tronchi di ontani, conservati grazie all’ambiente anaerobico generato da successivi e più consistenti depositi alluvionali a matrice più fine. L’ontano è una pianta che cresce generalmente in ambienti umidi e la sua presenza lascia quindi supporre che la zona del Novi Sad sia stata per secoli caratterizzata da un paesaggio boschivo e acquitrinoso, frequentemente soggetto ad esondazioni. Al tetto di questo depositi, ormai già in età basso medievale, è stato edificato il cenobio degli Eremitani.

Oltre le alluvioni

Il Medioevo
Nel Medioevo l’area del Foro Boario si trovava subito fuori le mura della città, tra porta Cittanova e porta Ganaceto. Dalle scarse notizie tramandate su quest’area tanto dalle fonti che dalla topografia antica, si sapeva che in un luogo non meglio precisato fra le due porte era stata edificata nel 1245 una chiesa dei Frati Eremitani detti “Giamboniti” (ossia seguaci del mantovano Fra Giovanni Bono).
Con atto notarile del 17 gennaio, infatti, il vescovo Alberto Boschetti aveva concesso ai Frati Eremitani la facoltà di costruire la chiesa “in quarterio canonicorum”, posto “inter portas Citanovae et Ganaceti supra foveam civitatis”, ossia vicino al fossato che circondava le mura della città (Atto Notarile redatto a Modena il 17 gennaio 1245, Archivio Generale dell’Ordine degli Agostiniani, Roma, Pergamene volanti).
Non si conosce l’intitolazione di questa chiesa e del monastero, ancora menzionati nei documenti nel 1297 come “dei Romitani”. Nel 1292 il convento fu unito per volere del vescovo Jacopo da Ferrara a quello di S. Donnino, che si trovava all’incirca dove oggi sorge la chiesa di S. Agostino, ossia all’interno delle mura presso porta Cittanova. Le fonti testimoniano che il monastero fuori porta venne abbandonato a partire dagli inizi del Trecento e sussistette soltanto quello di S. Donnino, coll’intitolazione di S. Agostino o degli Eremitani.
L’edificio monastico venuto in luce nell’area del Foro Boario coincide verosimilmente con il monastero degli Eremitani citato dalle fonti. In aggiunta a quanto già noto dai documenti, gli scavi indicano inoltre che, anche dopo la fusione e il trasferimento entro le mura bassomedievali nella nuova struttura di S. Agostino, l’uso degli edifici dovette continuare fino al XV secolo, seppur forse con una diversa destinazione.


Modena nel XIII secolo. In primo piano il monastero degli Eremitani (disegno di Riccardo Merlo, 2010)

Le condizioni del rinvenimento sono compromesse dall’asportazione di gran parte delle strutture ma la planimetria mostra il complesso nella sua integrità, evidenziando un’articolazione piuttosto consueta che ruota attorno ad un chiostro rettangolare sul quale si affacciano, su tre soli lati, gli edifici monastici.
L’edificio maggiormente strutturato risulta essere il refettorio, con contrafforti laterali su tutta la lunghezza dei due lati maggiori, al quale si addossò successivamente una struttura che perdura fino al pieno XV secolo. Perpendicolare al refettorio è un fabbricato diviso da uno stretto vano che potrebbe fungere da scala per raggiungere un piano superiore. Sul lato opposto del refettorio sono invece una serie di ambienti piuttosto ampi, uno dei quali dovrebbe essere la chiesa, preceduta da un ambiente dotato di un ampio portale con contrafforti.
La chiesa si presenta orientata canonicamente, senza abside e costruita in maniera assai modesta. Una serie di tracce, poste parallelamente all’interno, lascia intuire la possibile esistenza di una pavimentazione lignea su travi orizzontali.
L’interpretazione dell’edificio appare plausibile unicamente sulla base della localizzazione delle aree cimiteriali che si sviluppano tutto attorno. In particolare, a sud, è presente un ampio cimitero, molto articolato, recintato da un muro costeggiato da una strada in ghiaia. L’ultimo lato del chiostro, posto a sud, pare privo di edifici, ma a breve distanza è presente invece un piccolo fabbricato porticato che doveva fungere da ricovero per animali .
Ad alcune decine di metri ad est del complesso è stato rinvenuto un pozzo, isolato, che doveva servire al rifornimento idrico. Le aree cimiteriali rappresentano probabilmente l’aspetto di maggior rilievo del rinvenimento. Sono presenti, infatti, alcuni nuclei distinti disposti rispettivamente nel chiostro, nel cimitero contiguo alla chiesa e anche al di fuori del perimetro del monastero.
Nonostante non si possa essere certi della reale natura sociale, laica o ecclesiastica, di questi gruppi di inumati, è certo che la sistemazione delle tombe corrisponde ad una strategia ben precisa di sfruttamento dell’area consacrata, sebbene l’utilizzo come cimitero parrocchiale risulti specificamente vietato dalle prescrizioni vescovili al momento della fondazione. La situazione mostra una chiara stratificazione sociale, come evidenziano le sepolture in muratura ma anche gli speroni di un inumato nel chiostro.
In ogni caso appare evidente che, non ostacolato delle prescrizioni vescovili, l’istituto dovette essere un referente di successo per uno o più gruppi famigliari urbani, che si suppone ne fossero anche i finanziatori e che hanno utilizzato il monastero e il relativo camposanto come luogo di sepoltura, secondo una pratica che proprio attraverso gli ordini minori pare divenire usuale nel tardomedioevo. Conferma questa ipotesi anche il fatto che i soli corpi nelle casse in muratura vennero asportati, traslati probabilmente, al momento dell’abbandono del monastero per la fondazione di quello nuovo, intitolato a Sant’Agostino.
Seppur piuttosto scarsi i reperti rinvenuti sono assai significativi, soprattutto per la fase iniziale di vita del complesso. Sono state rinvenute ceramiche invetriate dall’area islamica e graffite venete databili al XIII secolo, oltre ad una notevole quantità di ceramiche grezze per la cottura degli alimenti.

Il Cimitero degli appestati
Nell’area occupata dalla rampa di accesso al futuro parcheggio è stato rinvenuto un cimitero seicentesco costituito da tombe disposte in più file parallele ortogonali tra di loro e destinate in genere ad accogliere più corpi ciascuna. Nel complesso è emerso un grande addensamento di corpi deposti spesso in maniera scomposta, irregolare per orientamento e giacitura, sia avvolti in bende che gettati privi di indumenti su di un fondo di calce. Segni di bruciature sulle ossa lasciano supporre che fossero effettuate pratiche di sterilizzazione ancor prima della sepoltura, per evitare il diffondersi di un’epidemia.


Particolare delle mura trecentesche della città e ubicazione del cimitero degli appestati (Foto Roberto Macrì, 2010)
Si ringrazia il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Bologna per la realizzazione della foto aerea

Sicuramente il cimitero individuato negli scavi archeologici coincide con quello fatto consacrare dal vescovo Alessandro Rangoni tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto del 1630 fuori porta S. Agostino per far fronte all’esigenza di creare nuovi spazi per le sepolture dei morti colpiti dall’epidemia di peste che si era diffusa in città. L’area era probabilmente di proprietà ecclesiastica, in quanto sono presenti alcune strutture, oltre ad un fossato e un pozzo che hanno restituito ceramiche religiose.
La consacrazione del cimitero è ricordata nella cronaca seicentesca di Giovanni Barani, giunta a noi attraverso una trascrizione del 1726.

Il parco archeologico

Il progetto di parco archeologico al Novi Sad, ancora in fase di approvazione da parte delle Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna, prevede la ricollocazione in superficie di alcuni importanti elementi strutturali emersi nel corso dello scavo nell’ottica di una valorizzazione del sito come museo open air.
Si tratta di un approccio che intende rendere comprensibili e fruibili con segni minimi le presenze sul terreno, sviluppandole su due piani distinti: quello della storia del luogo e dello spazio quotidiano, quello composto dai reperti del museo archeologico all’aperto.
Il primo piano riguarda l’assetto generale dell’area che sarà determinato dal percorso della pista circolare, preesistenza storica, da cui si diramano brevi percorsi secondari di collegamento ai manufatti emergenti del parcheggio.


Rendering del progetto preliminare e logo del Parco Archeologico (progetto grafico Avenida)

Il percorso centrale, dedicato alla strada romana, diventa invece il fulcro del museo all’aperto. La porzione di strada messa in luce nello scavo, lunga oltre 110 metri, verrà infatti ricollocata nella sua interezza in superficie nell’esatta posizione in cui è stata rinvenuta.
Lungo un lato della strada sarà ricostruito, attraverso la ricollocazione dei reperti originari, un tratto di necropoli di I secolo d.C. I monumenti, una quindicina fra stele e are funerarie, costeggeranno, a distanza regolare l’uno dall’altro, il percorso stradale secondo il criterio in uso durante l’età imperiale che prevedeva l’assegnazione di lotti di terreno alle aree funerarie.
Lungo il lato opposto della strada troverà invece spazio la riproposizione di un contesto funerario di età tardoantica, coevo alla strada ricollocata in superficie.
Tale contesto, che verrà presentato facendo ricorso a copie dei monumenti originari, permette di illustrare l’uso frequente in questo periodo (III-IV secolo d.C.) di smantellare sepolture più antiche per riutilizzarne parti come coperture di tombe.
Due di queste stele figureranno, in originale, nella presentazione del tratto di necropoli di età imperiale e, in copia, a copertura di una tomba a cassa laterizia nel complesso di età tardoantica.
Accanto all’asse centrale del parco open air rappresentato dalla ricostruzione della strada e delle necropoli, il percorso archeologico comprende anche un approfondimento sulle aree insediative, documentate nell’area nord-ovest dai segni dei perimetri di edifici e da una zona di impianti produttivi in cui viene riproposta la ricostruzione della grande vasca circolare e di un pozzo. La vasca circolare sarà ricollocata secondo le indicazioni della Soprintendenza per i Beni Archeologici, al piano del prato con protezione in vetro superiore e perimetrale, in modo da proteggere i reperti contenuti al suo interno.
Le varie fasi dello scavo, la stratigrafia del sito e le altre strutture rinvenute saranno oggetto di illustrazione nelle postazioni multimediali a disposizione del pubblico nell’area dedicata a zona ristoro e centro visitatori e che avrà anche la funzione di punto di accoglienza per le scuole e per i gruppi che visiteranno il museo all’aperto. Questo padiglione sarà regolarmente aperto al pubblico ed in particolare sarà dedicato a studenti e agli utenti del polo S. Agostino (Università, musei e biblioteche).