Il Monte prima del Monte
Archeologia e storia di un quartiere medievale di Forlì

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Gli scavi archeologici effettuati tra il 2004 e il 2005 sotto il pianterreno dello stabile dell'ex Monte di Pietà di Forlì consentono di sfogliare a ritroso le vicende di quest'area della città ricostruendone le fasi di occupazione più significative, dalla costruzione dei primi edifici (seconda metà del XIII secolo) alla realizzazione del Palazzo del Monte (prima metà XVI secolo)

Nel maggio/giugno 2011 inaugurazione dell’allestimento permanente ricavato al piano interrato del Palazzo del Monte di Pietà, sede della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Corso Garibaldi n. 45, Forlì (FC)

Ingresso gratuito
Info 0543 191 20 00
e mail: eventi@fondazionecariforli.it

In occasione dei lavori di restauro e ristrutturazione dello stabile dell’ex Monte di Pietà, attualmente sede della Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì, è stato eseguito lo scavo archeologico di tutto il piano terreno -circa 800 mq- con l’obiettivo di realizzare una serie di cantine che mancavano. Questa indagine, diretta dall'archeologa Chiara Guarnieri, della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, ha permesso di portare in luce la storia di un isolato urbano di particolare importanza per Forlì e di sfogliare “a ritroso” le vicende di quest’area della città, ricostruendone le fasi di occupazione più significative (che in seguito definiremo come "periodi") fino alla costruzione dell’attuale palazzo del Monte, grazie anche ai numerosi ritrovamenti di manufatti in ceramica, vetro e leghe metalliche.
L’indagine è stata condotta dalla Ditta Akanthos -Ricerche Archeologiche, sotto la direzione scientifica della  Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, ed è stata finanziata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.
Man mano che procedevano i lavori, visto l’interesse di quanto si andava scoprendo e il cospicuo numero di oggetti che riemergevano dalle numerose vasche di scarico per i rifiuti rinvenute durante lo scavo,  si è deciso di conservare “a vista” quanto rinvenuto e di rendere i sotterranei un luogo archeologico visitabile, in grado di offrire alla città un’occasione per conoscere il suo passato, tanto ricco quanto poco conosciuto.


Gli archeologi al lavoro al pianterreno del Palazzo del Monte di Pietà di Forlì

LA VITA DI UN QUARTIERE URBANO
La prima occupazione dell’area (Periodo I, Fase 1)
Sebbene si trovasse in una posizione centrale, quest’area della città sembra sia stata frequentata solamente a partire dal Medioevo. Il suo primitivo aspetto era quello di una zona aperta, priva di abitazioni, con una marcata pendenza naturale del terreno da nord verso sud, caratteristica che fu subito eliminata al momento del primo insediamento.


Ricostruzione del quartiere medievale (disegno di Riccardo Merlo, 2009)

Su di una serie di riporti, che hanno avuto appunto la funzione di regolarizzare il piano di calpestio, si insediò un’attività artigianale la cui esistenza è documentata dalla presenza di sette buche di medie e grandi dimensioni di forma circolare; queste fosse presentavano un fondo piatto, in taluni casi rivestito in frammenti di laterizi o in assi lignee posate su malta idraulica. Purtroppo la lacunosità di quanto venuto in luce e la quasi totale assenza di muri non ha consentito un inquadramento completo dei resti che risultavano concentrati solamente nella zona sudorientale dello scavo; si doveva trattare comunque di impianti artigianali legati a lavorazioni che prevedevano l’utilizzo di acqua, come ad esempio le concerie.


Fossa a fondo piatto, rivestito in frammenti di laterizi


Fossa con fondo in assi lignee posate su malta idraulica

L’esistenza in questa zona della città –compresa tra le attuali piazza Duomo e piazzetta S. Crispino- di imprese artigianali di vario tipo è documentata in cronache, atti notarili e Statuti che descrivono quest’area come una tra quelle a maggiore densità insediativa di botteghe ed imprese artigianali, una caratteristica che ha mantenuto anche nei periodi successivi. La vicinanza del canale di Ravaldino forniva infatti abbondante acqua ed energia anche attraverso canalizzazioni secondarie.

     
Tintori, coramai, venditori di stoffe o di formaggi

Il quartiere tardomedievale (Periodo I, Fase 2)
Tra la metà del XIV e gli inizi del XV secolo l’area inizia ad essere frequentata stabilmente. Si dovette trattare di un’occupazione quasi simultanea con la costruzione di diversi edifici in muratura di medie dimensioni, individuati in almeno quattro unità. Questi appaiono giustapposti uno all’altro e caratterizzati da lievi disassamenti, com’è logico che accada in assenza di una ripartizione regolare, stabilita prioritariamente, degli spazi da edificare.
Gli edifici che in uno stretto lasso temporale hanno subito ampliamenti e modifiche, sono caratterizzati dalla presenza, in adiacenza ai muri perimetrali, di fosse di scarico per i rifiuti. Queste ultime sono di forma rettangolare, realizzate in laterizio e dotate di una copertura a volta o a falsa cupola; la presenza costante di caditoie, in genere in numero di due o tre, situate a livello del piano di calpestio, consente di ipotizzarne l’utilizzo come discariche di rifiuti, destinate ad essere abbandonate una volta colme. Probabilmente vi si gettavano tutti i materiali giudicati inservibili, o passati di moda, visto l’ottimo stato di conservazione di molti dei reperti recuperati.
Accanto agli edifici menzionati, prospiciente l’attuale corso Garibaldi, sorgeva anche una torre, di cui sono rimaste le possenti fondazioni in grossi ciottoli di fiume. Di forma quadrangolare (m 6,50 x 9) presentava murature possenti dello spessore di circa m 1,20. Forlì, come tutte le città medievali, era infatti dotata di un considerevole numero di torri -la cui ubicazione si è perduta nel tempo- che furono atterrate o livellate a partire dal 1283 e durante il secolo successivo.


Le possenti fondazioni della torre, in ciottoli di fiume

Approfondimento - Lo smaltimento dei rifiuti
Il contenuto delle vasche di scarico dei rifiuti offre un’occasione di studio particolare per la presenza di oggetti di uso comune oltre ad abbondanti resti di pasto, la cui analisi permette di ricostruire svariati aspetti della vita quotidiana, dall’utilizzo delle stoviglie in tavola e in cucina, alle abitudini alimentari. Vani di questo tipo, la cui esistenza sembra peculiare del periodo tardo-medievale, sono presenti anche in altre centri della regione, in particolare a Ferrara dove si rinvengono nei palazzi estensi, in conventi di prestigio ed in abitazioni di ceto medio-alto, come nel caso di Forlì. Il riempimento di uno di questi vani di scarico (us 1536) ha restituito oggetti in ceramica smaltata e ceramiche ingobbiate ed invetriate di fabbricazione veneta, databili entro la prima metà del XV secolo. Numerosi anche i vetri, quasi tutti riferibili ad oggetti in uso sulla tavola come bottiglie e bicchieri dalla semplice foggia troncoconica apoda, a cui si aggiungono un discreto numero di fiale, che servivano per contenere medicinali e cosmetici e di orinali, utilizzati dai medici per valutare il colore delle urine.


Uno dei vani utilizzati come vasca di scarico per i rifiuti

LE CASE DEGLI ORSI E IL LORO GUASTO
Le case degli Orsi (Periodo II, Fase1)
La situazione cambia completamente già attorno alla metà del XV secolo per un generale intervento di ristrutturazione che modifica radicalmente l’aspetto di questa parte del quartiere.
Viene realizzato un unico e vasto complesso edilizio, il cui andamento planimetrico appare sostanzialmente esteso in senso Nord-Sud, che viene ad obliterare, in parte riutilizzandole, le fondazioni gli edifici precedenti.
Questa imponente operazione di presa di possesso di un’area così vasta nel cuore cittadino non poteva che essere il frutto di un’operazione legata ad una famiglia di prestigio. Siamo con ogni probabilità di fronte a quello che rimane delle famose “case degli Orsi”. La data di costruzione del palazzo, che in realtà doveva essere costituito da una serie di edifici giustapposti, è da individuare tra il 1430 e il 1460. Gli Orsi possedevano già lungo la Strada Maestra (attuale corso Garibaldi) una serie di edifici e botteghe che quindi decisero di accorpare in un’unica domus magna; le cronache ci restituiscono infatti la descrizione di un complesso di edifici piuttosto articolato, che veniva ad occupare un ampio spazio in questa zona della città, solo parzialmente coincidente con quello del futuro palazzo del Monte.
L’indagine archeologica ha permesso di individuare all’interno dell’area indagata almeno sedici ambienti, facenti parte di un imponente complesso edilizio la cui estensione proseguiva verso settentrione, in direzione dell’attuale corso Garibaldi, e verso meridione, nell’area che in seguito sarà occupata dalla chiesa di S. Filippo Neri. Gli scavi archeologici condotti nel corso dei restauri all’interno dell’edificio religioso hanno evidenziato un cortile porticato -di cui è stato portato in luce parte del muro perimetrale ed alcuni pilastri- mentre lungo il fianco orientale dell’ampio cortile vi era un’area aperta con un pozzo. La parte del palazzo individuata con l’indagine era con ogni probabilità un’area di servizio, con vani destinati a magazzino, oppure ospitanti attività artigianali, vista la povertà dei piani pavimentali, quasi sempre in terra battuta ed in un solo caso in mattonelle; la zona nobiliare era forse situata più a sud, attorno al cortile porticato menzionato in precedenza.
L’impossibilità di estendere l’indagine archeologica verso settentrione, oltre il fronte dell’attuale palazzo, non ha permesso di definire se l’accesso principale della casa fosse su questo lato; sicuramente il suo fronte stradale era occupato da una serie di attività artigianali testimoniate dalla presenza di piani di concotto, focolari e fornacette, oltre a buche per l’alloggiamento di pali e tramezzature lignee. Si doveva trattare di piccole attività, ospitate entro i vani porticati del palazzo, che, come in analoghi altri casi, venivano affittati ad artigiani e bottegai. In particolare da una serie di atti è possibile ipotizzare, nel tratto di strada in cui sorgeva il palazzo degli Orsi, la presenza di una spezieria.


Così doveva presentarsi la spezieria ubicata nei pressi del palazzo degli Orsi

Le fonti inoltre ci raccontano che il palazzo era dotato di una torre colombara “che dava verso l’orto”. Appare a questo punto suggestivo pensare che la torre rinvenuta nello scavo, una volta dismessa la sua originaria funzione difensiva, fosse stata riadattata dagli Orsi a colombaia, con funzione di abbellimento dell’edificio ma anche come status symbol, visto che gli Statuti impedivano l’abbattimento dei colombi domestici a scopo alimentare.
Come i precedenti edifici anche il palazzo degli Orsi era dotato di una serie di vani interrati per lo scarico dei rifiuti. In particolare uno di questi ha restituito una cospicua serie di oggetti –ceramiche da cucina e da tavola, tra cui graffite e smaltate, e numerosi vetri- databili attorno alla prima metà/ultimo venticinquennio del XV secolo.

Il “guasto” delle case degli Orsi (Periodo II, Fase 2)
Come sappiamo dalle fonti storiche, questa situazione non durò a lungo: le case degli Orsi, responsabili dell’assassinio di Girolamo Riario, marito di Caterina Sforza signora della città, furono incendiate ed abbattute nel 1488. Per lungo tempo l’area rimase un “guasto” nella città, una zona lasciata appositamente vuota, a monito della terribile punizione. I segni di questa immane distruzione sono stati puntualmente portati in luce con lo scavo: su tutta l’area indagata le murature appartenenti al palazzo degli Orsi appaiono spogliate e ricoperte di uno massiccio strato di riporto di terreno e macerie. Rimangono parzialmente intatte solamente le strutture relative a vani ipogei, non visibili al momento del “guasto”.


La distruzione delle case degli Orsi (disegno di Riccardo Merlo, 2009)

IL MONTE DI PIETÀ
Si costruisce il Monte di Pietà (Periodo III)
La punizione era stata durissima. In quella zona della città rimase per lungo tempo un immenso cumulo di macerie a monito di quanto era accaduto. Solo dopo molti decenni, per volontà della comunità, si costruì su di una parte dell’area il palazzo che doveva ospitare il Monte di Pietà. Ma la zona interessata dalle demolizioni era molto più vasta: secondo le cronache forlivesi, un intero quartiere era stato abbattuto durante il furore del 1488. Ancora nel 1534 la maggior parte dell’area del guasto doveva apparire come un cumulo di macerie, visto che in un documento si parla della necessità di abbassare il terreno per poi iniziare a costruire. Ma in questo momento non si era ancora arrivati ad occupare tutta l’area del Guasto: più di cento anni dopo, nel 1643, l’area accanto al Monte di Pietà continuava ad essere un luogo abbandonato che si presentava come un "terreno ammassato che per la sua smisurata altezza pareva quasi impossibile levarla per lo spatio di molti giorni". Ci volle più di un mese per liberare e spianare l’area in modo che fosse possibile costruire la chiesa di S. Filippo Neri.
L’abbassamento di circa 80 centimetri del piano di calpestio dell’attuale palazzo, realizzato intorno alla fine del XIX secolo, non ha permesso la conservazione delle pavimentazioni e delle strutture originali del palazzo del Monte. A testimonianza di quanto si svolgeva tra le sue mura, restano solamente una serie di grandi fosse ricavate direttamente nel terreno.


La fossa-neviera utilizzata per la conservazione dei cibi

Si tratta di quanto rimane dell’attività -che trovò ospitalità sui terreni di pertinenza del Monte- del macello, che fu anche luogo di vendita: ne sono appunto testimonianza queste fosse - ne sono state contate almeno quindici - di forma ovoidale; riempite di neve fresca, grazie alla temperatura costante, fungevano da veri e frigoriferi. Le chiavi delle nuove botteghe dei macellai vennero consegnate nel 1566. Le botteghe erano sicuramente ancora in funzione nel 1609 visto che il Monte riscuote l’affitto di 90 bolognini per le beccherie.


Macellai al lavoro nella loro bottega

La ricostruzione delle vicende storiche ed architettoniche di questa zona della città, ricavata sulla base dei dati dello scavo archeologico, finisce in questo punto saldandosi con il presente, sostanziato nel palazzo così com’è possibile vederlo ora, grazie al suo complesso restauro.

Alcuni cenni sui materiali rinvenuti
Lo scavo archeologico ha permesso di studiare per la prima volta una cospicua serie di materiali ceramici, e non solo, che circolavano a Forlì dalla seconda metà del XIII al XVI secolo. I materiali esaminati sono riferibili a classe sociali di un certo tenore economico, un dato che, se non stupisce per il periodo in cui su quest'area sorgeva il Palazzo degli Orsi, appare molto meno scontato nella fase precedente, quando l'area è occupata da abitazioni e botteghe.
Questo dato è tuttavia in accordo con quanto detto dalle fonti riguardo alle caratteristiche del tessuto sociale, di tipo mercantile e borghese, che si sarebbe insediato in questa zona della città che si trovava poco distante dalla zona di maggior prestigio, la Strada dei Cavalieri.
Indicazioni analoghe vengono anche dall'analisi dei resti botanici e ossei: nel primo periodo è infatti documentato l'uso del melograno, frutto di pregio, mentre nel secondo periodo è documentata la presenza dell'olivo e dell'anice, due piante che marcano le differenti abitudini alimentari e le diversità di coltivazioni tra l'area romagnola e quella emiliana, nella fattispecie ferrarese.
Una certa differenza si rileva anche tra il consumo di carne e pesce tra il  primo e il secondo periodo: nonostante siano entrambi caratterizzati da un abbondante uso di carne, nel primo periodo si consuma maggiormente quella ovina mentre nel secondo prevale l'utilizzo di quella bovina, preferita di norma dai cuochi delle famiglie nobili. A questa si affianca anche il consumo di selvaggina e molluschi.

Allo scavo del Palazzo del Monte di Pietà è dedicato il volume a cura di Chiara Guarnieri "Il Monte prima del Monte. Archeologia e storia di un quartiere medievale di Forlì", editore Ante Quem, Bologna 2009

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