Parma. La mummia di gatto del Museo Archeologico Nazionale
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Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
24 novembre 2011

Parma. Le radiografie effettuate sul reperto svelano importanti particolari
Ne parlano giovedì 15 dicembre l’archeologa Roberta Conversi e il veterinario Giacomo Gnudi

ore 17.00 - Esame radiografico di una mummia di gatto: un viaggio nel tempo di 2000 anni
(Giacomo Gnudi, veterinario radiologo del Dipartimento di Salute Animale dell’Università di Parma)
ore 17.20 - Il gatto nell’Antico Egitto: animale domestico e divinità
(Roberta Conversi, archeologa della Soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia-Romagna)
Parma, Museo Archeologico Nazionale
Palazzo della Pilotta
ingresso libero -  info 0521.233718

Particolare della mummia di gatto conservata al Museo Archeologico Nazionale di ParmaUna mummia di “prima” qualità, non un feticcio o un prodotto di bassa lega. Le radiografie sulla mummia di gatto conservata al Museo Archeologico Nazionale di Parma hanno accertato che all’interno della fasciatura c’è l’intero animale, un giovane esemplare dell’età di 4 o 5 mesi, risalente a circa 2000 anni fa. Pur non essendo una rarità, si tratta di un reperto di grande importanza, legato ai culti della dea gatta Bastet, la divinità egizia propiziatrice di fertilità, salute e gioie terrene.
Giovedì 15 dicembre, a partire dalle ore 17, il veterinario radiologo dell’Università di Parma che ha effettuato l’esame, Giacomo Gnudi, e l’archeologa del museo responsabile della sezione egizia, Roberta Conversi, presentano al pubblico gli interessanti dati emersi dalle radiografie. Per l’occasione, in attesa di trovare i fondi per il restauro, il Museo Archeologico Nazionale di Parma (Palazzo della Pilotta) esporrà per la prima volta la mummia di gatto
La mummia di gatto era stata acquistata da un antiquario nel XIX secolo insieme alla maggior parte degli altri manufatti della collezione egizia del museo.
Protettore della casa, amatissimo dagli Egizi per la sua abilità di cacciatore di topi, a partire dalla XXII Dinastia (945-715 a.C.) il gatto inizia ad essere considerato incarnazione degli dei e l’esemplare femmina, in particolare, il rappresentante in terra della dea Bastet. Templi a lei dedicati cominciano a sorgere in tutto l'Egitto, primo fra tutti quello costruito nella città di Bubastis, lungo il Nilo, nel Basso Egitto. Nei primi tempi, al momento della morte, il gatto veniva mummificato e sepolto all’interno del tempio in fosse comuni ma a partire dal III sec. a.C. si comincia ad allevare appositamente gli animali vicino ai templi per farne mummie che i devoti acquistavano per lasciarle nei templi come offerte. Gli scavi archeologici hanno recuperato migliaia di mummie di gatti morti prematuramente o in maniera innaturale, soprattutto micetti tra i due e i quattro mesi di età, sacrificati in gran numero perché più adatti alla mummificazione.
Secondo l’archeologa della Soprintendenza Roberta Conversi questo è certamente il caso della mummia-gatto del Museo di Parma. Il reperto è di accurata realizzazione ed elevata qualità; all’interno del bendaggio c’è l’intero corpo del gatto mentre non è infrequente trovare solo una parte dell’animale, se non pezzi di un altro o addirittura il semplice fantoccio, senza nulla dentro.
Le bende sono disposte in modo da formare motivi geometrici mentre gli occhi sono dipinti con inchiostro nero, su piccoli pezzi tondi di benda di lino.
I mercati egizi offrivano vari modelli di mummie-gatto realizzati per soddisfare le richieste dei clienti devoti, dalle versioni “economiche”, che potevano contenere solo una parte dell’animale o addirittura essere involucri vuoti, a mummie di alta qualità, molto curate, con animali interi e bendaggio dipinto.
Il reperto del museo di Parma fa certo parte dei “modelli” più preziosi, acquistato da un egiziano devoto a Bastet che, recandosi al tempio, ha scelto una mummia di gatto di prima qualità, e quindi anche di un certo costo, per offrirla alla Dea.
Le radiografie eseguite da Giacomo Gnudi, veterinario radiologo dell’Università di Parma, mostrano che il gatto è stato fasciato in modo da occupare il minor spazio possibile, con le costole compresse e gli arti anteriori posti molto vicino al torace; una frattura/foro nel cranio sembra inoltre confermare l’ipotesi di una morte innaturale
Tutti i dati, archeologici e radiologici, concorrono a rendere la mummia di gatto del Museo Archeologico Nazionale di Parma un reperto di grande importanza e interesse scientifico. L’auspicio della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna è che qualcuno si faccia avanti per supportare il delicato intervento restauro indispensabile alla sua futura esposizione

Info:
Roberta Conversi (archeologa) roberta.conversi@beniculturali.it  tel. 0521 233718
Giacomo Gnudi (UniPR) giacomo.gnudi@unipr.it  tel. 0521 032789