Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
La realtà archeologica
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L’area di controllo, o di semplice dominio, degli Etruschi in Italia settentrionale si sviluppò in due direzioni. La prima verso i valichi alpini che consentivano le relazioni con il centro Europa; l’altra verso il mare Adriatico, in particolare verso il delta del Po, tradizionale area di approdo e scambio della navigazione mediterranea in particolare di quella greca.
La città di Spina fu fondata poco prima della fine del VI secolo a.C. La sua posizione -allora situata alla confluenza di vie di comunicazione fluviali, marittima e terrestri (Reno, Po e Adriatico)- la rendeva il luogo ideale per la fondazione di un porto-emporio
I rapporti con il mondo greco e l’Attica durarono a lungo e senza avvertire quella crisi del mondo etrusco che segnò l’inizio del IV secolo a.c. quando le tribù galliche scesero nella pianura padana. Il tramonto ci fu solo nel corso del III secolo, quando a un assedio dei Galli si associò la difficoltà ad aprirsi uno sbocco diretto al mare. Fino alla soglia del I secolo a.C. Spina sopravvisse solo come un piccolo villaggio.

                              
a sinistra: Pelike del Pittore di Berlino (490 a.C.) - Valle Trebba, tomba 867 a destra: Cratere del Pittore dei Satiri villosi

Spina era dunque un emporio, sede di una comunità mercantile. Lo scambio commerciale doveva essere basato essenzialmente sul baratto: la città infatti non coniò mai moneta. Dagli scavi ne è emersa una sola, una dramma padana databile tra la fine del III e l’inizio del I secolo a.c. coniata dai Celti che occupavano il territorio.
Tutto era oggetto di baratto; le ceramiche figurate attiche, olio e vino pregiato, unguenti e profumi, marmo insulare, forse anche pesce salato, miele, tessuti, oggetti esotici e d lusso che venivano scambiati con i prodotti agricoli del fertile entroterra padano, soprattutto grano.
Tramite il porto di Spina salpavano verso la Grecia carni salate di suino e bovino, legname, l’ambra del nord, i bronzi etruschi e forse anche pelli, cuoio, schiavi e i famosi cavalli veneti.
Il rapporto privilegiato che legava Atene a Spina parrebbe dovuto alla ricerca di approvvigionamento di materie prime, soprattutto grano, da parte della città greca che non era economicamente autosufficiente. Per quanto riguarda Spina, l’aspetto che colpisce di più è il contrasto tra la ricchezza dei materiali che arrivavano qui per poi costituire i corredi funebri, e l’aspetto dimesso e quasi povero della città. Evidentemente ciò che tratteneva la gente a Spina non era certo l’amenità del paesaggio ma la possibilità di trarre un profitto.
Menzionato da numerose fonti latine e greche, il sito di Spina fu individuato solo nel 1922 quando i lavori di bonifica della Valle Trebba portarono in luce i primi oggetti attribuiti alla necropoli della città etrusca. Gli scavi recuperarono 1213 tombe, a cui se ne aggiunsero altre 200 circa venute in luce tra il 1962 e il 1965. Negli anni ’50, il prosciugamento di Valle Pega, a sud di Valle Trebba, evidenziò la presenza di un altro settore di necropoli ricco di 2650 tombe.
La zona dell’abitato fu messa in luce negli anni ’60 durante la bonifica della Valle del Mezzano.

I corredi di V e IV secolo
L’elemento più eclatante dei corredi spinetici di V secolo non è tanto la ceramica attica a figure nere quanto quella a figure rosse che annovera alcune delle migliori opere realizzare nelle botteghe ateniesi di quel periodo. I vasi importati a Spina tra il 480 e il 400 a.C. sono, secondo il parere di D.J. Beazley, la più importante collezione di quel periodo esistente al mondo.
La presenza di ceramica attica a figure rosse continua a caratterizzare i corredi di Spina fino alla metà del IV secolo a.C., momento da cui inizierà a scemare fino alla totale scomparsa. E’ un fenomeno dovuto a un significativo mutamento dei flussi commerciali: alla ceramica attica si sostituisce progressivamente quella proveniente dall’Etruria. I vasi a vernice nera importati in grande quantità, provengono dalle fabbriche di Volterra mentre quelli figurati, più rari, sono di produzione sia chiusina che volterrana. Si tratta in genere di oggetti di piccole dimensioni, più adatti al trasporto via terra attraverso i valichi dell’Appennino. Intorno alla metà del IV secolo, man mano che diminuisce la presenza di ceramica greca, iniziano a comparire nei corredi –in numero sempre più elevato- materiali di fabbricazione locale tra cui spicca, per abbondanza e varietà, la ceramica alto adriatica. A questi materiali si aggiungono le importazioni dalla Magna Grecia e, in particolare, dall’Apulia da cui provengono, a partire dalla fine del V secolo, esemplari di vasi figurati di grandi e piccole dimensioni e probabilmente anche oggetti di lusso come oreficerie, balsamari e relativi unguenti e profumi.


Sala 2 - Valle Pega, tomba 212 B - Kylix del Pittore di Pentesilea (460 a.C.)

Le tappe della scoperta archeologica di Spina hanno accompagnato il procedere delle bonifiche delle “valli” circostanti Comacchio, oggi fertili terre nelle quali l’intensivo sfruttamento agricolo ha cancellato pressoché completamente le vestigia del precedente popolamento. Dapprima tornò alla luce la necropoli di Valle Trebba (anni 1922-1935), in seguito la necropoli di Valle Pega (anni 1954-1960), infine l’abitato (bonifica della Valle del Mezzano, 1960). La città sorse sulla sponda destra del Po, sfruttando la irregolare conformazione di un dosso di modesta estensione che dobbiamo immaginare emergere, forse affiancato da nuclei minori, all’interno dell’ambiente lagunare. Imponenti palificate ne rinforzavano il perimetro, pali infissi nell’argilla, travi di fondazione, fascine, canne, corteccia bonificavano e consolidavano il suolo su cui si innalzavano le abitazioni, il cui elevato era costituito da una intelaiatura di legno e da argilla pressata. I coperti erano altrettanto leggeri. Canali e vie, alcune delle quali acciottolate, si intersecavano tra questi edifici, i quali probabilmente nel corso dell’avanzato V sec. a.C. vennero rimodellati secondo un impianto che dette alla città un regolare assetto ortogonale. L’aspetto fragile e modesto delle costruzioni, abbattute e rialzate più e più volte anche perché frequenti dovevano essere le esondazioni e gli incendi, è la nota dominante della città, la cui conoscenza è peraltro limitata a quartieri abitativi e ad alcune zone commerciali, né esprimeva alcunché di monumentale. E nulla di monumentale caratterizzava la necropoli che, pochi chilometri ad oriente del centro abitato, si estendeva sulle dune sabbiose prossime al battente marino, quelle dune a sviluppo Nord-Sud tra cui si incuneava il ramo Spinete del Po e che il fiume stesso aveva formato.

Nel sepolcreto, il duplice rituale della cremazione e della inumazione portava a interrare i defunti in fosse a volte contraddistinte da un segnacolo tombale anepigrafe in marmo o calcare (cippi, colonnette, più frequentemente ciottoli fluviali); soltanto la dimensione un poco più ampia della fossa e il numero o il pregio degli oggetti che accompagnavano il morto nel suo viaggio verso l’Oltretomba oppure che ne adornavano le vesti o il corpo segnano quel discrimine di censo e ricchezza che in altri siti si estrinsecava in un apparato esterno magniloquente.

               
a sinistra: Vaso configurato etrusco - a destra: Statuetta in bronzo (tomba 136 A)

La ricchezza di questi sepolcri sta quindi nei loro “corredi”, ove alla preponderante presenza di vasellame attico figurato e non di V e di IV sec. a.C. si accompagnano bronzi fusi e laminati (candelabri e vasi di varia foggia), balsamari in pasta vitrea e gesso alabastrino, ambre e oreficerie, i prodotti ceramici più modesti ma non per questo meno significativi delle manifatture locali nonché le suppellettili che a Spina giunsero da altre aree peninsulari (il Veneto, il Meridione e la Sicilia, l’Etruria) e greche (Corinto e la Beozia, ad esempio). La città, centro di deposito e di smistamento delle mercanzie a brevissima distanza dal mare, sul fiume, fu pertanto una peculiare espressione del saldo e lungimirante potere politico ed economico instaurato dagli Etruschi nella parte orientale della Valle Padana e la sua “grecità” risiedette in un profondo e generalizzato assorbimento della cultura attica. La storia di Spina, breve e intesa, si compie in meno di tre secoli; sorta infatti verso la fine del VI sec. a.C. e all’apice del proprio sviluppo economico nel periodo che intercorre tra la seconda metà del V e il primo quarto del IV sec. a.C. decadde irrimediabilmente con il III sec. a.C., ultimo baluardo, nell’Etruria settentrionale, a cedere dinnanzi alla pressione delle popolazioni Galliche. Sala 4 - Valle Trebba, tomba 128 - Cratere a volute (420 a.C.)  Il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara si riappropria di questi temi presentando ora, nelle sei riaperte sale del piano nobile, uno specimen dei materiali che compongono alcuni dei complessi più interessanti della necropoli. Essi sono distribuiti secondo una scansione cronologica che inizia dal periodo più antico e, nella correlazione degli oggetti costitutivi, esposti integralmente, esprimono il variare delle consuetudini attraverso il filtro dei differenti ruoli sociali sostenuti dai singoli individui nella comunità. E appare ancora più emblematica, come indice del loro censo e della loro acculturazione, la presenza di quei vasi monumentali, frutto della creatività dei più noti e attivi maestri del Ceramico, le cui raffigurazioni epiche e mitologiche adombrano con il proprio linguaggio celebrativo gli eventi di politica e di potere dell’Atene contemporanea.